Sulla vertenza Electrolux si aprono i primi spiragli. La proprietà svedese che aveva presentato un piano per il mantenimento degli stabilimenti di Susegana, Porcia, Solaro e Forlì, ha puntualizzato che la proposta presentata ai sindacati prevede una riduzione del costo del lavoro a carico dell’azienda di 3 euro all’ora. In termini di salario netto la riduzione equivarrebbe “a meno di 130 euro al mese” e non a un taglio degli stipendi che, secondo indiscrezioni circolate, sarebbero scesi da una media di 1.400 euro al mese a circa 700-800 euro. Nel frattempo il ministro Zanonato ha convocato un tavolo di lavoro con le parti in causa. L’incontro si svolgerà nel pomeriggio di oggi a Roma, presso la sede del ministero dello Sviluppo economico. Per Giuseppe Farina, segretario generale di Fim-Cisl, il governo deve dare il suo contributo: «Non si può soltanto chiedere alle imprese di investire e garantire l’occupazione, bisogna anche dimostrare che c’è interesse e c’è disponibilità a sostenere i progetti delle imprese». Magari seguendo il “modello Indesit”.
L’azienda nega che ci saranno tagli drastici. Come stanno in realtà le cose?
Anch’io ho sentito delle inesattezze nei notiziari. È vero che la proprietà chiede una riduzione dei salari, ma propone proporzionalmente anche una riduzione dell’orario di lavoro. In questa fase, però, il tema da approfondire non sono tanto i contenuti della trattativa sindacale, ma un altro.
Quale?
Oggi la cosa importante è far cambiare opinione alla Electrolux che ha presentato un piano di vero e proprio disimpegno dal nostro Paese. Il vero tema è l’incontro con il governo che si terrà domani pomeriggio (oggi per chi legge, ndr) al ministero dello Sviluppo economico. Abbiamo ricevuto poco fa la convocazione (nella tarda mattinata di ieri, ndr).
Cosa chiederete all’incontro di domani?
Porremo due questioni, una alla Electrolux e una al governo. Alla Electrolux chiederemo di rivedere il piano industriale e di presentarci progetti che rilanciano la presenza dell’azienda in Italia e non la distruggono.
Al governo invece cosa chiedete?
Di fare la sua parte e dare il suo contributo perché siamo in tempi in cui non si può soltanto chiedere alle imprese di investire e garantire l’occupazione: bisogna anche dimostrare che c’è interesse e c’è disponibilità a sostenere i progetti delle imprese. Il governo deve fare questo: far cambiare opinione e piano all’azienda e mettere in campo iniziative che possano favorire un piano di sviluppo anziché di ridimensionamento. Fatto questo, credo che ci sarà una parte per il sindacato e che noi non ci tireremo indietro nel fare quello che sarà possibile fare perché, anche grazie al contributo dei lavoratori, i progetti dell’azienda cambino, l’occupazione venga garantita, tutti gli stabilimenti vengano salvaguardati e si possa guardare al futuro con maggiore fiducia. Il segnale che si darebbe infatti sarebbe che l’industria elettrodomestica, l’industria manifatturiera di questo Paese viene salvaguardata e rilanciata.
L’azienda sostiene che per ogni lavatrice prodotta a Porcia si perdono 30 euro. Come pensate di risolvere un problema del genere?
Questa è la preoccupazione che abbiamo. Inseguire l’industria polacca solo sui costi mi sembra una prospettiva che non funzionerebbe. Penso che Electrolux debba investire di più in Italia e tentare di fare quello che abbiamo fatto con Indesit.
Cosa è stato fatto in Indesit?
Sono state convogliare in Italia le produzioni di maggior valore che hanno costi di produzione destinati a rimanere comunque più alti di quelli polacchi. L’idea che si possano mantenere le produzioni riducendo i costi mi sembra che non ci porti lontano. Se c’è un problema di costi, come nel caso di Electrolux, lo si può affrontare, ma ovviamente dentro un quadro di sviluppo dell’investimento in Italia, non il contrario.
Basterebbe seguire il modello Indesit per risolvere il problema?
Nel caso della Indesit il tema del costo del lavoro non si è posto in termini così drammatici come per Electrolux. C’era, ma lo abbiamo affrontato e abbiamo convinto Indesit a investire di più e a investire su prodotti innovativi mettendo in conto la disponibilità alla flessibilità dell’orario di lavoro. Abbiamo fatto un accordo che, in una fase di crisi del mercato, ha tutelato l’occupazione con i contratti di solidarietà. Però abbiamo anche costretto la Indesit a reinvestire e a rilanciare la scommessa sul nostro Paese. Penso che dobbiamo fare la stessa cosa con Electrolux per rilanciare l’industria manifatturiera. Che è quella che in questi anni ha dato da mangiare a questo Paese.
Sta funzionando l’accordo che avete siglato con Indesit?
Proprio oggi (ieri per chi legge) abbiamo un incontro. L’azienda sta procedendo con gli investimenti e noi prevalentemente con i contratti di solidarietà. Sì, è un modello che funziona. Ovviamente potremo dirlo quando avremo messo in sicurezza tutti i lavoratori di quella azienda. In Electrolux non siamo solo in presenza di una richiesta di ridimensionamento, ma anche di condizioni che, così come sono state presentate, appaiono inaccettabili. La trattativa sindacale ha bisogno di un impegno diverso di Electrolux e del governo: questo è il punto. E anche delle amministrazioni locali che peraltro stanno facendo la loro parte: la regione ha predisposto un piano di sostegno; il comune e l’associazione degli industriali di Pordenone sono anch’essi mobilitati. C’è la necessità che tutti facciano la loro parte, ma con un punto unico e irrinunciabile che è il mantenimento dei siti della Electrolux e il rilancio dell’azienda nel nostro Paese.
Cosa vi aspettate dall’incontro con il governo?
Che il governo si faccia carico di questo problema: che il nostro Paese non può rinunciare all’industria manifatturiera e, in particolare alla sua componente elettrodomestica che è molto importante. E che chieda a Electrolux di reinvestire e di scommettere di più in un diverso progetto industriale.