Il Job Act di Matteo Renzi è quasi pronto. Il testo del piano per il lavoro con il quale il segretario Pd punta a far ripartire il sistema Italia (“proposte, da discutere insieme, che daranno spinta al Paese) verrà presentato ufficialmente giovedì 16 gennaio. Si tratta di un pacchetto di proposte che vanno dalla semplificazione delle norme sul lavoro alla riduzione delle varie forme contrattuali (“contratto unico), passando per l’abbattimento degli ostacoli burocratici, la riduzione dell’Irap (del 10%) e misure a sostegno dell’industria, oltre la creazione di Agenzia unica federale che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali. Non ci sono quindi interventi solo sui contratti di lavoro. Cerchiamo di individuarne i capisaldi del progetto renziano.



Partiamo da unpunto caldissimo. Dopo aver detto che l’articolo 18 non deve più essere un tabù, negli ultimi giorni Renzi ha annunciato che nel piano “è marginale”. Il Job Act vede un contratto di inserimento con meccanismi di tutele progressive. Entro 8 mesi verrà presentato un nuovo codice del lavoro che conterrà, semplificandole e riducendole, le regole circa le varie forme contrattuali (oggi più di 40). Si parla dunque di un contratto di inserimento a tempo indeterminato con tutele crescenti.



Il Job Act parla di un sussidio di disoccupazione universale. Assegno, dunque, per coloro che perdono il posto di lavoro, con l’obbligo però di seguire corsi di formazione professionali e di non rifiutare più di una proposta di nuovo impiego. Previsti inoltre nuovi criteri di valutazione per le stesse agenzie di formazione.

 “Bene se prendiamo un po’ di più sulle transazioni finanziare, a condizione che non aumentiamo la spesa e che abbassiamo le tasse sul lavoro”, parola dello stesso Renzi. Sono dunque previste maggiori tasse sulle transazioni e rendite inanziarie, a favore di sgravi sul costo del lavoro. Ciò dovrebbe portare a un abbassamento dell’Irap pagato dalla aziende pari al 10%. In sostanza: chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più.



La parola d’ordine è una e una sola: investire. E investire forte su: cultura, turismo, agricoltura, cibo, made in Italy (artigianato, design e moda), Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), green economy, nuovo welfare, edilizia e settore manifatturiero. L’unico modo per creare nuovi posti di lavoro è questo. Verrà partorito un piano industriale per ogni singolo settore economico.

Si tratta di un passaggio obbligato, soprattutto nell’ottica di abbassare il peso del fisco sul reddito da lavoro. I risparmi di spesa corrente saranno dunque incanalati in questo senso. Renzi ha parlato anche di fatturazione elettronica, pagamenti elettronici e investimenti sulla rete, oltre all’obbligo (verso il cittadino) di trasparenza per la Pubblica amministrazione, per i partiti e per i sindacati.

Il piano di Renzi prevede un taglio del 10% del costo dell’energia per le imprese. L’obbiettivo è chiaro: ridurre i costi energetici delle aziende con un taglio della bolletta del 10%, attraverso una revisione di costi e incentivi da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas.