Io non credo negli uomini del Destino. Non ho creduto a Berlusconi, non ho sperato in Monti e non gioco le mie carte su Renzi. Credo (e molto) nei dati di fatto. Questi i dati di fatto dell’Italia dal 2007, l’anno della svolta negativa (non quindi l’introduzione dell’euro e nemmeno la crisi, almeno per il mercato del lavoro): la percentuale di Neet è salita del 7%, la disoccupazione totale è salita quasi del 7%, la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è rimbalzata dal 20,3% al 41,5%.



In questo quadro, giova sottolineare due altri aspetti. In primo luogo, la durata media della vacanza contrattuale (quanto tempo prima del rinnovo del contratto) sta crescendo in modo esponenziale da 4,4 mesi del 2010 a 18,9 dell’agosto 2014. Per me è anche un segno dell’incapacità dell’attuale sistema di relazioni industriali (e del modello di relazioni e regolazioni del mercato del lavoro) di fare fronte alla crisi in modo coordinato. In secondo luogo, la spesa pubblica è costantemente aumentata, segno che non è la contrazione della spesa che ha rallentato il sistema economico e a mio avviso indicazione plausibile del fatto che non sarà un suo rilassamento a stimolarlo.



Sebbene intramezzati da un paio di opinioni (su euro e spesa pubblica), questi sono dati incontrovertibili che ci dicono che il modo con il quale regoliamo il mercato del lavoro non funziona, anche perché da altre parti la crisi che pur c’è (stata), viene riassorbita meglio. Voglio pure sottolineare che a questo si aggiunge la considerazione del prevalere in Italia di modelli di organizzazione del lavoro obsoleti se confrontati con altri paesi. Infatti, nelle poche ricerche comparative, l’Italia è sempre collocata tra i paesi dove prevalgono modelli tradizionali e tayloristi di organizzazione del lavoro e domina la centralizzazione decisionale.



Anche questo può avere tra le sue spiegazioni un cattivo funzionamento del sistema delle relazioni di lavoro e sindacali che non favoriscono l’innovazione organizzativa e che si pongono l’obiettivo di preservare l’indifendibile, soprattutto perché rappresenta la base di quel potere politico che è lo scambio di Faust con il Diavolo dei nostri sindacalisti di vertice, più interessati a esso che al problema dell’economia e del lavoro. Non è un caso che gli strepiti di Susanna Camusso siano più per il non essere consultati che per le soluzioni che si prospettano.

Quindi, sgombrando il campo dal dubbio, l’Italia ha bisogno drammaticamente di cambiare il mercato del lavoro (e il modo con cui il lavoro viene utilizzato e organizzato nelle imprese), ma nel contempo di modificare radicalmente il modello di relazioni industriali e gli attori che lo governano. E qui torno anche al 2007. Perché il 2007 come anno migliore? Non ho una risposta certa, ma i dati rivelano che l’inversione di tendenza avviene nel periodo successivo all’accordo del luglio 1993 voluto dal Presidente del Consiglio Ciampi.

Quell’accordo è importante per diverse ragioni: aprì alla flessibilizzazione delle retribuzioni, definì un sistema più decentrato di relazioni sindacali e sganciò il Governo dalla triangolazione, lasciando alle parti il compito di trovare le soluzioni. In sostanza, consentì a imprese e rappresentanti dei lavoratori di avere più potere localmente e costrinse i grandi apparati burocratici centrali della triplice e di Confindustria a limitare il loro. Il Governo avrebbe poi dovuto trovare un modo per dare regole di base del mercato del lavoro più semplici e lasciar fare, ma quest’ultimo sforzo non fu politicamente sostenibile. Purtroppo, la dinamica iniziale all’interno delle parti sociali si stemperò anch’essa rapidamente in un nuovo centralismo.

Diversi anni più tardi manca il tassello di una vera riforma del mercato del lavoro, ma è anche mancato quel processo di rinnovamento e di ripensamento delle logiche di competizione da parte delle parti imprenditoriali e sindacali che si sono invece costituite come blocco politico-sociale resistente al cambiamento e alle spinte della globalizzazione. E, incapaci di trovare altre strade per ragioni ideologiche (i tabù della Cgil, come l’inutile e demagogico articolo 18), per convenienze personali (meglio un sistema drogato e controllato che la vera competizione per molte imprese italiane) e per carenza di visione e competenza (le sintesi economiche di molti sindacalisti sono imbarazzanti e sono figlie di un processo di selezione interno eminentemente politico e non meritocratico), corrono a tirare la giacchetta ancora una volta al Governo, mirando quindi alle tasche degli italiani che per anni hanno sostenuto la loro incapacità di innovazione. E invece fa bene Renzi, purtroppo solo a parole, a dire che non ci sarà scambio senza uno sforzo di cambiamento e innovazione nei sindacati (e se avesse più coraggio, potrebbe dire anche nel sistema imprenditoriale).

Poi è evidente ai più che lo dice perché non ha spesa pubblica da scambiare. Ma è bastato questo per far scendere allo scoperto il vero blocco del Paese, che, con buona pace del Movimento 5 Stelle, è più forte e saldo che mai ed è pronto a cavalcare le stesse chimere dell’illusionista Grillo pur di conservare quel potere, addossando la colpa ala Germania, all’euro e alla spesa pubblica insufficiente. È il blocco che salda Il Corriere della Sera del solitamente pavido e impercettibile De Bortoli con la Repubblica dell’ormai saccente e delirante Scalfari. È il blocco che vede in Napolitano il garante più chiaro, visto che è composto da ottuagenari di anagrafe (come lo stesso Napolitano o Scalfari), di pensiero (come i residuati à la Padellaro, Travaglio, Lerner, ma anche Belpietro) o di ideologia (come i vari Landini che ne hanno fatto un mestiere da Commedia dell’Arte o Fusaro che ne ha fatto una fonte di reddito a buon mercato). E tutti lì a cavalcare il benaltrismo, facilitati da un Presidente del Consiglio che sembra un dee-jay e una trottola, ma non si ferma mai a un tavolo a scrivere una legge che sia una, tra annunci, retromarce e nuovi rilanci. Cavalcano il benaltrismo che è l’unico elemento che li possa aiutare a conservare fino alla fine il Titanic che hanno depredato, certi che le scialuppe di salvataggio le hanno sotto controllo loro.

Chi affoga sono i giovani che non trovano e troveranno sempre meno lavoro e i non garantiti che pagano sulla loro pelle i privilegi dei garantiti. Perché di privilegi si tratta e per pochi, come l’articolo 18 e lo stuolo di magistrati del lavoro iper-garantisti che non capiscono assolutamente nulla di organizzazione ed economia (e temo poco di norme, visto che tendono a darne interpretazioni auto-centrate). Privilegi figli di quella aberrazione che è una Costituzione che fonda sul lavoro una comunità, invece che fondarla sulla libertà individuale…

Ma nella cecità in cui è caduto il Paese, questi simulacri di un tempo che non c’è più fanno comodo al blocco di potere della conservazione che vi ha costruito una linea Maginot difficile da aggirare. E Renzi sembra un burattino dei pupi, frenetico, veloce di lingua, ma non in grado di usare davvero la spada o meglio l’ascia bipenne che servirebbe in questo momento.

Quell’ascia si chiama sospensione di ogni diritto acquisito. Per tutti: pensionati, politici, pubblici dipendenti, imprenditori. I diritti che non possiamo permetterci non sono diritti, ma privilegi, soprattutto se riguardano alcuni alle spalle di altri. E non deve sorprendere se quelli che ne godono alzano alti lai dicendo che sono conquiste. Sono conquiste per loro, sconfitte e disperazione per noi che dovremo pagarli. Il sociologo Ugo Ascoli qualche anno fa sosteneva che in Italia stavano saltando le solidarietà. Le solidarietà oggi sono insostenibili per cui è tempo di rifondare i patti di cittadinanza, nel lavoro, nel welfare e nell’economia. In questo ha ragione il Movimento 5 Stelle, anche se la proposta che fa è figlia dello stesso vittimismo e oggi sosterebbe molti degli stessi privilegi che ci hanno portato sulla soglia dell’abisso.

E qui si spiega perché ormai gioco le mie carte sul futuro del Paese sulla troika, piuttosto che su Renzi che non avrà mai il coraggio, lo spessore e la visione per fare quello che serve. Né sul mercato del lavoro, né sul Paese. Quindi, non ha senso commentare, ennesima voce nel deserto, non già un disegno di legge, ma le esternazioni del momento che domani cambieranno.

Come si legge su Facebook gli elicotteri del Fondo monetario internazionale sono in volo. E io li aspetto come l’ultima speranza.