Il testo della delega, correntemente denominata Jobs act, con il voto di fiducia del Senato ha preso finalmente la via dell’approvazione definitiva. Ha solo preso il via, ma ha chiarito i rapporti nel Pd fra chi si propone di innovare la sinistra per renderla stabilmente forza di governo e chi invece pensa a una sinistra di opposizione. Il tema lavoro ha fatto emergere tutte le differenze che in questi anni erano state accantonate con la scusante che vi era un problema prioritario da affrontare: costruire e cementare il fronte antiberlusconiano. È per questo che appaiono come nuove le proposte blairiane di Renzi, idee che laburisti e socialdemocratici tedeschi hanno sviluppato e applicato da fine anni 90.



La delega, come noto, pone il tema di una forte semplificazione legislativa e indica in una semplificazione contrattuale i cardini per tornare ad avere, se vi sarà ripresa economica, un mercato del lavoro funzionante e senza quell’odioso dualismo fra tutelati e non. A sostegno di un mercato “normale” la delega indica anche la necessità di dare vita a un sistema di servizi al lavoro che siano capaci di farsi carico di chi cerca occupazione per la prima volta o perché l’ha persa. Servizi che assicurino sia un sostegno al reddito (con la revisione degli strumenti di politiche passive, Cig, ecc.), sia la capacità di realizzare percorsi di orientamento e formazione che si concludano con un reinserimento lavorativo.



Ad assicurare servizi efficaci potranno concorrere sia la rete dei Centri per l’impiego pubblici che agenzie private accreditate. Al punto c) del comma 4 della delega si propone la costituzione di una Agenzia nazionale per l’occupazione che veda il coinvolgimento, oltre che dello Stato, anche delle Regioni e delle province autonome. Il testo appare dal punto di vista propositivo abbastanza avaro di indicazioni operative, mentre si dilunga sui vincoli per il personale e affinché non vi siano ulteriori oneri per lo Stato.

Indica però per sommi capi che l’Agenzia avrà competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e Aspi (sostegno al reddito). Sarà quindi suo compito disegnare e ingegnerizzare il nuovo sistema di servizi al lavoro per il Paese. Sulla base delle esperienze positive avviate, in modo particolare in Lombardia ormai da qualche anno, si può tentare di andare oltre il testo della delega e cercare di valutare cosa servirebbe fare.



Andrebbe in primo luogo fissata la libertà di scelta delle persone per potersi rivolgere all’operatore che ritengono più efficace, ed è quindi da prevedere che i centri per l’occupazione, pubblici e privati accreditati, possano svolgere tutti i servizi essenziali, dalla presa in carico alla ricollocazione lavorativa. I servizi essenziali che devono essere forniti sono: presa in carico, proposte formative e inserimenti lavorativi/formativi, reinserimento lavorativo.

Nella prima fase saranno valutate le esperienze lavorative fatte, ci saranno servizi di presa in carico, orientamento, valutazione dell’Aspi spettante, predisposizione di un piano personalizzato finalizzato a realizzare un percorso di reinserimento lavorativo. La seconda fase è caratterizzata dalla realizzazione del programma personalizzato predisposto. Nessuno potrà stare fermo, è richiesta una partecipazione proattiva delle persone e degli operatori per creare le condizioni che portino a una nuova opportunità lavorativa. Il percorso si conclude con l’avvio a un nuovo lavoro con contratto definito e una durata minima da stabilirsi.

In questo quadro l’Agenzia nazionale ha un compito fondamentale nel definire le regole di funzionamento e assicurare i sistemi informativi che possono permettere alle persone e agli operatori di svolgere al meglio il proprio compito, raccogliendo i dati relativi a ogni passaggio di attuazione dei percorsi relativi a tutti i soggetti coinvolti. Parlo di reti al plurale perché una sarà destinata a gestire l’Aspi (valutazione ed erogazione) ed è riconducibile a quanto oggi è gestito da Inps per gli ammortizzatori sociali. La seconda rete sarà invece gestionale: registrerà dalla presa in carico della persona tutti i passaggi fino al reinserimento lavorativo. Si aggancia in questo compito più con la rete delle comunicazioni obbligatorie, raccontando i percorsi lavorativi o di ricollocazione degli individui.

Oltre a ciò l’Agenzia dovrà prevedere una base di costi standard con cui poter riconoscere agli operatori pubblici e privati il costo dei servizi prestati, suddividendo fra quelli operativi per servizi obbligatori e quelli riconosciuti a risultato, ossia a conclusione del percorso di reinserimento lavorativo. Costi standard e regole di accreditamento per gli operatori saranno solo indicativi qualora le Regioni avessero provveduto a deliberare i propri con provvedimenti locali. Sulla base dei dati raccolti dall’operare gestionalmente sarà compito dell’Agenzia sviluppare report che indichino analisi statistiche sui diversi segmenti delle forze lavoro e la presenza di aree particolari di svantaggio, dare strumenti ai decisori politici per orientare le risorse e le scelte di politiche attive rivolte a segmenti particolari.

Dovrebbe invece istituire un vero e proprio valutatore indipendente per verificare efficienza ed efficacia dei singoli operatori anche al fine di selezionare best practices ed eventuali premialità o penalità per chi supera o non raggiunge standard operativi prefissati. Come per molte nuove iniziative appare di una semplicità che è difficile a farsi. Vedo, anche alla luce di alcuni recenti fallimenti in politiche occupazionali tentate recentemente, due questioni che richiedono un grande cambiamento di mentalità. Mi riferisco alla sfida che la partecipazione alla governance pone a Regioni e rappresentanze sociali coinvolte nella realizzazione di questa nuova agenzia.

Le Regioni avranno un ruolo già nella costituzione dell’Agenzia. Se parteciperanno – come si è visto per Garanzia giovani – tese a indebolire il progetto pur di difendere le proprie prerogative in nome di una sussidiarietà che non tiene conto dei cittadini e dei loro diritti, si troveranno un’Agenzia che sarà ostacolo invece che strumento utile a sostenere le loro scelte di programmazione territoriale. In questo senso, la Lombardia, unica regione ad aver già creato un sistema analogo a quello previsto dal Jobs act, dovrà abbandonare posizioni di isolamento e giocare un ruolo finalmente nazionale, fatto di proposte già sperimentate e capace di influire in senso liberale solidaristico al disegno nazionale.

Ancora più pesante sarà la sfida per le rappresentanze sociali. Verso il Jobs act l’atteggiamento è stato tutto teso (al di là di opposizioni totali o parziali) a cercare di affermare il proprio potere di veto per tornare a metodi concertativi ormai superati. Nessuno si è assunto la responsabilità di abbandonare posizioni corporative e indicare cosa ciascuno era disposto a fare per affrontare la sfida occupazionale.

La governance dell’Agenzia non potrà non vedere coinvolte le forze sociali. Ma sarà la prima vera sfida di una partecipazione competitiva: non di contrapposizione, ma dove ognuno porta la propria capacità di collaborare con gli altri soggetti. Solo così anche la bilateralità vivrà una nuova stagione e dimostrerà che ci sono molte possibilità di rimettere in moto i corpi sociali senza cadere in egoismi corporativi.

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