Nella Legge di stabilità, il Governo Renzi sta pensando di introdurre una nuova forma di incentivi per assunzioni a tempo indeterminato (o attraverso il contratto a tutele crescenti), addirittura si parla di azzeramento dei contributi. Siamo ancora alla fase “ipotetica”, il testo deve affrontare il dibattito parlamentare e per l’applicazione effettiva è necessario capire quante risorse sono destinate e quindi quanto sarà ampia la platea dei beneficiari. Un contratto a tutele crescenti, senza l’obbligo di reintegra e con una detassazione totale per i primi tre anni, è il “sogno” di ogni imprenditore che voglia assumere, quindi questo strumento aumenterà il tasso di occupazione? La risposta è tanto semplice: no, vediamo perché.
Innanzitutto, va compreso se gli incentivi economici producono effetti positivi nel mercato del lavoro. Ebbene in uno dei più importanti studi sulla materia (J. Kluve, D. Card, M. Fertig, M. Gora, L. Jacobi, P. Jensen, R. Leetmaa, L. Nima, E. Patacchini, S. Schaffner, C. M. Schmidt, B. van der Klaauw and A. Weber (2007), Active Labor Market Policy in Europe: Performance and Perspectives. Springer, Berlin), si evidenzia come l’impatto degli incentivi occupazionali sembra produrre effetti positivi nel collocare i soggetti più svantaggiati e le performance di questo strumento sono migliori rispetto a quelle di altri programmi di politica attiva del lavoro come la formazione professionale.
Tuttavia, in Italia il Governo Letta, con l’intento di creare 100 mila nuovi posti di lavoro, aveva già predisposto una dote finanziaria in favore delle imprese nel caso di assunzione o stabilizzazione di giovani Under 30. Le risorse destinate a questo progetto sono state di circa 800 milioni, ma purtroppo hanno ottenuto un bassissimo esito in termini di nuovi ingressi nel mondo del lavoro, appena 22 mila adesioni. In realtà, dalle poche valutazioni realizzate, sembra aver comunque ottenuto un positivo impatto in termini di trasformazioni (contratti a tempo determinati passati a tempo indeterminato).
L’insuccesso del programma proposto dal Governo Letta ci dice una cosa assolutamente chiara: le politiche attive del lavoro non “creano” lavoro, tranne nel caso consistano in programmi di “creazione diretta” di cui proprio la ricerca segnalata precedentemente evidenzia effetti nulli se non negativi; tali politiche accompagnano gli effetti dello sviluppo economico. In altri termini, il buon esito o meno delle riforme sul mercato del lavoro dipenderà tantissimo dalle riforme sulla domanda aggregata, come ad esempio le risorse per l’edilizia scolastica. Difficile che le attuali modifiche possano incentivare un ritorno in patria di alcune produzioni industriali, anche negli altri paesi sono presenti analoghi incentivi e, soprattutto, offrono un miglior rapporto salario/produttività.
A questo si aggiunge il rischio, sulla base delle precedenti sperimentazioni, che lo strumento non migliori le chance occupazionali dei soggetti più svantaggiati, ma che piuttosto si rilevi una paradossale “trappola” per i neo-assunti, con le aziende che attenderanno il click-day dell’avvio del beneficio per effettuare nuove assunzioni in modo da ottenere il beneficio economico.
Altro rischio è poi una palese incomprensione tra la “teoria” e la pratica di questi strumenti, ovvero da parte dei policy maker c’è la convinzione che lo strumento sia indirizzato a quelle aziende ad alto contenuto tecnologico e innovativo che investono nel giovane o in generale nel disoccupato, mentre la realtà rischia di essere completamente opposta, dove a fare la parte dei leoni sono la grande distribuzione e le aziende di pulizia.
Nulla di male, ma qui torniamo alla questione accennata precedentemente; infatti, si rischia di premiare inutilmente quelle aziende che avrebbero comunque assunto e, soprattutto, si rischia di non poter neppure ottenere un minimo effetto moltiplicatore: infatti, se a essere assunto è un ingegnere con un buon salario, questo avrà ripercussioni positive in settori a bassa produttività, come quello dell’assistenza o delle pulizie, mentre se l’incentivo serve ad assumere persone nei settori appena citati, purtroppo non si verifica nessun effetto positivo per le chance occupazionali dell’ingegnere.
In conclusione, sotto molti profili la proposta di Renzi è assolutamente condivisibile, tuttavia il suo successo dipenderà esclusivamente da variabili esogene, che non hanno nulla a che vedere con la riforma del mercato del lavoro, ma da aspetti macro-economici e di rilancio della domanda aggregata. In tal senso, sarà opportuno verificare l’effetto del nuovo programma della Banca centrale europea sul rilancio dell’Eurozona: se questo effettivamente avrà successo, allora è possibile che molte aziende possano essere incentivate ad assumere a tempo indeterminato e utilizzare i benefici previsti.