Riaprire il dialogo tra le parti sociali, uno degli architravi del modello sociale europeo (almeno come lo abbiamo conosciuto finora) e dar vita a una politica volta agli investimenti, allo sviluppo economico e alla creazione di occupazione stabile e di qualità. Sono questi alcuni dei passaggi centrali della “dichiarazione di Roma”, il documento varato dai leader dei maggiori sindacati europei riunitisi, solo due giorni fa, presso la sede della Cgil, alla vigilia dell’importante summit sul lavoro che si tiene oggi a Milano.



L’incontro, è opportuno ricordarlo, rappresenta, al momento, l’iniziativa più rilevante del semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea che, sebbene sia stata presentata come una grande opportunità per un rinnovato protagonismo del nostro Paese in Europa, sembra, a oggi, ancora non decollata come nelle aspettative. Tornando, tuttavia, al tema dell’incontro di Milano, i leader sindacali europei sottolineano come, a loro parere, l’Europa abbia bisogno, ogni giorno di più, di voltare pagina rispetto a una conduzione dell’economia basata su politiche di austerità e di solo rigore contabile di matrice tedesca. Queste politiche si sono rivelate, infatti, sempre secondo i partecipanti dell’incontro romano di due giorni fa, incapaci di condurre l’Europa fuori dalla crisi e hanno, al contrario, provocato la frenata nella crescita economica.



Dopo anni di crisi economica e di risposte sbagliate, si sostiene, è giunto finalmente il tempo di definire politiche nuove, e diverse, maggiormente volte a favorire gli investimenti, lo sviluppo economico e, ovviamente, la creazione di posti di lavoro per i giovani ma non solo. Per i rappresentanti dei maggiori sindacati europei questi obiettivi si potranno raggiungere solamente attraverso il dialogo tra le parti sociali, da rafforzare e rinnovare profondamente, anche per rispondere a chi, a diversi livelli, lo attacca e lo sminuisce nella convinzione che rappresenti solamente un vecchio e superato, nonché inutile, rituale e un freno allo sviluppo.



Secondo Camusso & Co, inoltre, le riforme delle leggi sul lavoro e del mercato del lavoro adottate in questi anni nei diversi stati hanno spesso prodotto ulteriore precarietà e incertezza nel mondo del lavoro, nella convinzione che ciò portasse a una maggiore competitività del sistema. Una valutazione, questa, che, ovviamente, vale anche per il nostrano Jobs Act in fase di definizione e che il Premier Renzi porterà al tavolo milanese come simbolo del processo di riforma e innovazione del Paese che il suo Governo ha avviato in questi mesi.

In ogni caso se la riforma in fieri del mercato del lavoro porterà i risultati auspicati lo vedremo solamente a partire dai prossimi mesi, quando una legge delega, estremamente light, si trasformerà in una normativa articolata e di dettaglio con l’approvazione dei diversi decreti delegati di attuazione la cui definizione rappresenterà il vero e proprio esame per testare la bontà delle scelte fatte in queste settimane.

Il Paese non si rilancia, tuttavia, solo per decreto, ma con una strategia organica e che sappia ridisegnare i diversi aspetti della vita di una comunità come quello, ad esempio, dell’accesso al credito. Molte volte, per dirne una, il contratto a tempo indeterminato “pre-riforma” ha rappresentato per i lavoratori, prima di tutto, la chiave d’accesso a un mutuo e, magari, all’acquisto della prima casa per le giovani coppie.

Dopo, quindi, il contratto di inserimento sarà forse arrivato il tempo di iniziare a immaginare anche il mutuo a tutele crescenti?

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com

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