Il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni nel settembre 2014 ha raggiunto il 42,9%, con un aumento annuale dell’1,9% compensato da un calo mensile dello 0,8%. È quanto emerge dagli ultimi dati Istat su occupati e disoccupati in Italia, secondo cui la principale novità è che aumentano gli occupati ma anche le persone senza un lavoro ma che lo stanno cercando. Il tasso di disoccupazione, che prende in considerazione il rapporto tra persone attivamente in cerca di un lavoro e la somma tra queste ultime e gli occupati, è aumentato dello 0,1% sia su base mensile che su base annuale. Mentre gli occupati sulla popolazione tra i 15 e i 64 anni sono aumentati dello 0,5% su base annuale. Abbiamo chiesto un’analisi di questi dati a Luigino Bruni, professore di Istituzioni di economia all’Università di Milano-Bicocca.
Dai dati Istat ritiene che emergano delle novità positive?
Il dato Istat ci dice essenzialmente che la situazione generale non è cambiata di molto rispetto allo scorso anno. Ma a contare è soprattutto il fatto che la situazione giovanile nel Sud continua a peggiorare. Se oggi l’Italia non fa qualcosa di importante e veramente innovativo sul piano del lavoro per i giovani, ciò significherà lasciar fuori dalla vita civile un pezzo d’Italia, il Sud, e un pezzo di popolazione, i giovani. Non può essere il mercato, neanche con gli incentivi, a creare lavoro con gli attuali livelli di disoccupazione. Ci vuole un nuovo patto sociale che si inventi qualcosa che ancora non c’è.
Quindi lei non è soddisfatto delle misure inserite nella Legge di stabilità?
Le misure che abbiamo adottato fino a oggi sono completamente insufficienti, anzi tendono a peggiorare la situazione. Tutta questa enfasi su articolo 18 e flessibilità sicuramente non ridurrà la disoccupazione ma l’aumenterà. In questo tempo di crisi le aziende se hanno la possibilità di licenziare lo fanno molto volentieri. Non bastano misure timide come quelle messe in campo per rispondere a una crisi epocale quale quella cui stiamo assistendo in questi anni.
Che cosa ha in mente quando dice che c’è bisogno di un grande patto sociale per il lavoro?
Ci vorrebbe una specie di assemblea costituente sul lavoro della durata di due anni. Bisogna innanzitutto prendere atto che non saranno le Pmi da sole a riportare il lavoro al Sud, perché i dati sulle imprese del Mezzogiorno che stanno chiudendo parlano da soli. Non bastano agriturismi e bed&breakfast, dopo 50 anni di degrado civile e sociale. Il Sud è in una situazione disperata e chi fa le leggi di tanto in tanto dovrebbe almeno farci un giro. Sicilia, Calabria e Campania sono invase da slot machine e gioco d’azzardo.
E quindi?
In un contesto come questo, è illusorio credere che gli incentivi ad assumere contenuti nella Legge di stabilità creeranno nuovi posti di lavoro. La mia proposta è quella di lanciare un accordo vero con le poche realtà che funzionano al Sud per dare delle vere opportunità di stage ai giovani. Spesso i migliori ragazzi meridionali collezionano master su master che servono solo a fare “divertire” i professori.
Che cosa ne pensa del modo in cui si stanno muovendo i sindacati?
Anche i sindacati hanno le loro responsabilità e devono capire di più che cosa sta accadendo nel mondo del lavoro. I nostri sindacati però fanno parte del modello italiano di capitalismo, che non è quello americano. Sono quindi un elemento fondamentale, che non possiamo liquidare come l’eredità di un mondo passato basato sui privilegi. Comportandosi in questo modo Renzi dimostra di non comprendere le differenze tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Difendendo innanzitutto dipendenti pubblici e pensionati, la Cgil non dà indirettamente ragione a Renzi?
Una buona parte dei sindacati oggi sta sbagliando strategia e conducendo delle battaglie di retroguardia. Sono loro i primi che dovrebbero difendere l’intero mondo del lavoro, mentre continuano a ragionare molto su modelli quali la fabbrica e il pubblico impiego. Anche se obiettivi e strategie del sindacato vanno riviste, il Governo deve fare uno sforzo per apprezzare e mostrare più stima nei confronti dei sindacati.
Qual è il contributo positivo che possono dare i sindacati oggi?
Nel nostro Paese sono nati da battaglie durate oltre un secolo, e i sindacati rappresentano quindi un di più rispetto ad altri Paesi che non ce li hanno. Non sono un di meno, magari oggi sono in crisi perché non hanno capito fino in fondo come sta cambiando il mondo, ma il Governo dovrebbe essere il primo a valorizzarli per aiutarli a cambiare, anziché a considerarli come dei nemici.
(Pietro Vernizzi)