Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. È apparso ben chiaro a Renzi che, per superare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha finito per rinvigorire i sindacati confederali che voleva mettere nell’angolo e per rompere con la Fiom con cui voleva dialogare, che ha assunto le vesti di “sindacato di lotta” antigovernativo. A questo epilogo, ha portato un copione in tre atti.



Primo atto. Renzi si insedia al Governo, rinuncia al dialogo con Cgil, Cisl e Uil e lo cerca con la Fiom. Una strategia che sembra rispondere a una duplice finalità. La prima, quella di avere come alleata di un Pd ancora figlio della moderata “Margherita” una componente in grado di far concorrenza al partito di Grillo in vista di un’imprevedibile tornata elettorale. La seconda, quella di avere come interlocutore un leader (abbastanza) giovane e comunicativo, Landini.



Secondo atto. Il vento di elezioni soffia forte; prima l’Ocse, a settembre, e poi il Fondo monetario internazionale, nei primi giorni di ottobre, tagliano le stime sulla crescita dell’Italia: nel 2014, Pil in calo dello 0,4 % a parere della prima, dello 0,2% a parere del secondo; il vertice Asia-Europa del 16 ottobre, o meglio il primo importante incontro tra Renzi e l’establishment europeo dopo le richieste di flessibilità sul patto di stabilità, è prossimo.

Impelle, quindi, la necessità di dare un segnale di riforma all’Europa che, con la famosa lettera del 5 agosto 2011, ha messo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella lista delle cose cattive per la crescita del Paese. E così, Renzi ne annuncia, seppur a tinte fosche, il superamento. Da qui, un nuovo equilibrio. La Fiom, che dell’articolo 18 ha fatto il suo primo tabù, rompe con il Governo, che, quindi, apre alla triplice confederale, con cui ha la certezza di poter trovare punti d’ intesa sul piano delle modifiche alla disciplina dei licenziamenti. Si schiudono le porte della sala Verde a Palazzo Chigi.



Terzo atto. Il vento delle elezioni soffia ancora più forte; la priorità del Governo diventa la riforma elettorale; il patto del Nazareno traballa (o almeno cosi sembra); l’articolo 18 diventa questione momentaneamente secondaria. La Cgil coglie l’attimo. Dà vita a una battaglia in difesa dell’articolo 18; indice una manifestazione nazionale il 25 ottobre; partecipa, con Cisl e Uil, a quella dell’8 novembre dei dipendenti pubblici; proclama, infine, lo sciopero generale del 12 dicembre che, nelle ultime ore, ha incontrato l’adesione della Uil, ma non quella della Cisl.

Le aspettative non restano tradite: quasi un milione di persone in piazza il 25 ottobre, circa 100 mila l’8 novembre. La Fiom, privata della scena dalla Cgil sull’articolo 18, conduce contro il Governo la battaglia dell’Ast di Terni, sceglie la linea dura, prende le manganellate e raccoglie consenso. E cosi, a ben vedere, i sindacati confederali si strappano di dosso la veste di “superstiti” dell’età barocca del Paese; la Fiom si impone al Governo come un sindacato fortemente antagonista.

Il quarto atto, o meglio il finale?

Quello che si può immaginare è questo. L’articolo 18 perirà per mano del Governo (ma a metà), il clima rovente porterà a elezioni anticipate, Renzi dovrà affrontarle contro confederazioni sindacali più forti, una Fiom accanita e quindi, per dirla con una parola sola, i lavoratori. Ma soprattutto, con buona probabilità, contro un avversario molto più pericoloso di Grillo nell’arena politica: Landini.

È proprio vero allora: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. 

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