La Fiom, la federazione più radicale e, si sarebbe detto una volta, più operaistica della Cgil, ha previsto di realizzare fermate e assemblee in tutti i luoghi di lavoro, e iniziative sul territorio, a partire dalla giornata del 31 ottobre, per rispondere politicamente ai fatti, ritenuti gravi, accaduti a Roma durante la manifestazione degli operai di Terni. Questo anche in preparazione di uno sciopero generale, di tutte le categorie, per contrastare le misure contenute nel Jobs Act. Un’agitazione che, quindi, troverà il suo culmine in due grandi manifestazioni nazionali che si svolgeranno il 14 novembre a Milano e il 21 novembre a Napoli.
A prescindere, infatti, da cosa ne pensi Davide Serra, lo sciopero rimane, tutt’oggi, uno dei diritti protetti dalla nostra Costituzione. Non sarà certamente la più bella del mondo, ma anche le più recenti proposte di riforma non vanno a incidere sull’impianto valoriale che viene delineato nel testo del 1948. In tale sede si precisa, quindi, all’art. 39, che l’organizzazione sindacale è libera e, al successivo art. 40, che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano (si pensi, ad esempio, a quanto fatto nei servizi pubblici).
Le sfide della modernità e di un moderno mercato del lavoro in continua evoluzione ci stimolano, tuttavia, a riflettere su come ripensare e definire innovative modalità di dialogo sociale tra i diversi attori coinvolti e, in particolare, su cosa significa essere, oggi, sindacato (per molti aspetti anche di parte datoriale). La necessità di questo processo è emersa con chiarezza durante il percorso che sta portando all’approvazione del Jobs Act.
Si può senza dubbio dire che questo rappresenta, infatti, l’elemento di maggiore criticità. Se da una parte vi è un presidente del Consiglio accentratore e decisionista che, per scelta strategica e culturale, non ama il confronto con le Parti sociali e i corpi intermedi della società che vorrebbe “rottamare” a sua immagine e somiglianza, dall’altra le forze sociali hanno dimostrato una certa incapacità di trasformarsi, autoriformarsi e proporsi con idee nuove ed efficaci nel dibattito pubblico.
L’ideologia e la voglia di enfatizzare un’appartenenza ideologica forte sembra, quindi, abbia preso il sopravvento rispetto al bisogno di perseguire il bene comune e affrontare in maniera adeguata, sia sul paino politico che tecnico, le sfide del presente.
C’è da sperare, quindi, che, già a partire dalle iniziative delle prossime settimane, si sviluppi una discussione franca non per abolire la rappresentanza sindacale e gli strumenti di “lotta” che ne sono propri, ma per ripensarli e aggiornarli verso forme di rappresentanza, e di relazioni industriali, 2 o 3.0 in grado dare risposte adeguate alle grandi questioni del lavoro nel mondo globale che viviamo.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com