Un tetto alle pensioni per impedire che quelle più alte superino un determinato ammontare. È la novità introdotta dalle modifiche alla Legge di stabilità approvata dalla commissione Bilancio della Camera dei deputati. In pratica, è stato introdotto un tetto alle pensioni calcolate secondo il sistema misto a partire dal 2015. Ne abbiamo parlato con Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma.



Che cosa ne pensa del tetto alle pensioni d’oro?

Dietro al sistema pensionistico non c’è soltanto la logica del contratto, in base a cui oggi riscuoto quanto ho versato ieri. Il patto sociale prevede che chi lavora oggi sostenga chi è in pensione. A essere in gioco è molto di più del fatto che i miei contributi di oggi mi serviranno domani. Alla logica del patto sociale contravviene chi nella pensione percepisce più di quanto ha versato.



Ma il patto sociale non serve proprio a derogare da criteri strettamente utilitaristici?

La logica del patto sociale dovrebbe valere solo per le pensioni basse, non per quelle alte. Per chi non ha avuto una carriera lavorativa particolarmente felice, non ha lavorato o ha fatto la casalinga, c’è un diritto a ricevere una pensione in quanto cittadino al di là dei contributi. Il solidarismo del sistema pensionistico era stato pensato a vantaggio dei deboli.

Oggi non è più così?

Oggi sta accadendo il contrario in quanto il sistema retributivo, sganciando la pensione dai versamenti fatti durante la vita lavorativa, sta producendo delle pensioni che per i redditi alti sono superiori ai contributi versati. Ciò produce il paradosso per cui i poveri pagano le pensioni ai ricchi. Chi beneficia delle pensioni d’oro sta prendendo di più dei suoi contributi grazie allo sforzo degli attuali lavoratori.



Lei quindi è favorevole al tetto alle pensioni d’oro?

Non mettere dei tetti alle pensioni molto alte è un assurdo economico ed etico. Sono totalmente favorevole all’idea di limitare le pensioni introducendo un tetto massimo, perché sono convinto dell’approccio costituzionale che legge le pensioni come un patto sociale e non solo come una faccenda privata. 

A questo si aggiunge un problema di patto intergenerazionale?

Non solamente in Italia, ma anche in altri paesi, oggi il patto sociale sta favorendo troppo gli anziani e sta sfavorendo i giovani. E tra gli anziani sta favorendo quelli ricchi. Per risolvere questa anomalia economica ed etica esistono diverse possibili strade, e una è quella di mettere un tetto alle pensioni.

 

Complessivamente come andrebbe ripensato il sistema delle pensioni?

Le rispondo con un esempio. Poniamo che due giovani di 25 anni partecipino a un concorso della Banca d’Italia, e uno arrivi ventesimo venendo assunto mentre l’altro arrivi ventunesimo e non passi. Il primo avrà quindi uno stipendio buono per quarant’anni e di conseguenza una pensione sostanziosa per il resto della vita. Mentre il secondo magari si ritroverà con la pensione minima. In tutto questo c’è qualcosa che non va.

 

E quindi?

Il lavoro per una serie di ragioni ha delle dimensioni diverse, ma in un mondo in cui la vecchiaia si prolunga sempre di più dobbiamo quantomeno ridurre queste disparità per fare in modo che non siano eterne. Quando nel dopoguerra fu introdotta la riforma del sistema di welfare, la vita media era di 65 anni, oggi è di 85 anni. Occorre rivedere le cose per evitare che ci sia troppo svantaggio per i giovani.

 

(Pietro Vernizzi)