Le penalizzazioni per chi si ritira dal lavoro prima dei 62 anni ci sarà ma solo per le pensioni più alte. A esserne interessati saranno gli assegni superiori a sette volte il minimo, cioè a 3.500 euro lordi mensili. Il divieto di cumulo di pensione e reddito riguarderà chi è sopra ai 3.500 euro, ha meno di 66 anni e gode di un assegno retributivo. Sono gli ultimi ritocchi in ordine di tempo alla parte della legge di stabilità relativa alle pensioni. In precedenza le penalizzazioni per chi si ritira dal lavoro in anticipo erano state abolite per tutti, derogando così dalla riforma Fornero. Poi si è scelto di correre ai ripari per fare pagare almeno i pensionati più ricchi. Per Carlo Alberto Nicolini, avvocato e professore di Diritto all’Università di Macerata, «fare pagare di più alle pensioni retributive in quanto tali è una discriminazione, perché non è vero che con il sistema contributivo il lavoratore durante la sua vita professionale paghi di tasca propria per la sua stessa pensione».



Avvocato, l’abolizione delle penalizzazioni introduce delle nuove disparità?

Le disparità inevitabilmente ci sono in un disciplina destinata a cambiare costantemente come la previdenza, anche per effetto di alcuni elementi tecnici previsti dalla legge. La disparità tra chi va in pensione prima e chi va in pensione dopo con parametri diversi e discipline diverse è nella natura delle cose. È quindi un elemento organico al sistema, insito nel fatto stesso che la disciplina delle pensioni è in evoluzione. Sia perché le norme di legge cambiano velocemente, sia perché i coefficienti di trasformazione e l’età pensionabile sono rivisti periodicamente.



Il problema è politico o va cambiato il meccanismo a livello tecnico?

Il problema non è il funzionamento a livello tecnico. Sembra piuttosto che il legislatore con l’emendamento alla Legge di stabilità, voglia aprire la porta al pensionamento anticipato in quanto sono stati trovati i soldi per questa operazione. Con questo emendamento si potrà andare in pensione anticipata senza la riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici prevista dall’articolo 24, comma 10, del decreto legge 2001. Il problema per chi va in pensione prima riguarda anche il fatto che ci si va con un coefficiente di trasformazione che è minore in proporzione all’età. Quindi se a parità di montante io vado in pensione un anno prima, anche senza la riduzione percentuale prevista dal decreto 201 avrò un importo finale diverso.



A prescindere da questo, secondo lei sarebbe giusto introdurre un tetto o un contributo di solidarietà per le pensioni retributive che superino una determinata soglia?

Sul contributo di solidarietà è già intervenuta la Consulta affermando che è incostituzionale. Mettere un tetto solo sulle pensioni retributive mi sembra inoltre discriminatorio. È vero che a parità di condizioni le pensioni più alte sono quelle retributive, ma si tratta comunque di una scelta che potrebbe porre dei problemi dal punto di vista giuridico. Sarebbe meglio fare riferimento solo all’entità della pensione: a quel punto è chiaro che ci rientrerebbero quasi esclusivamente le pensioni retributive e la discriminazione sarebbe eliminata.

 

Chi ha una pensione contributiva però l’ha pagata totalmente di tasca propria durante la sua vita lavorativa, mentre chi ha una pensione retributiva no…

Non è così, nessuno paga di tasca propria la sua pensione. Sia quelle contributive che quelle retributive sono finanziate con un sistema a ripartizione. I contributi pagati durante la vita lavorativa servono per le pensioni nel periodo stesso in cui è pagato il contributo. Dal Dopoguerra, indipendentemente dal sistema contributivo o retributivo, la previdenza sta in piedi grazie all’equilibrio tra i soldi che entrano con le contribuzioni e quelli che escono. Va sfatato definitivamente il mito secondo cui con i contributi si paga la propria pensione. Con i contributi si pagano le pensioni di altri, e si costituiscono delle posizioni giuridiche che saranno poi valutate con la disciplina vigente al momento di ritirarsi dal lavoro. Da questo punto di vista non c’è differenza tra sistema retributivo e sistema contributivo.

 

(Pietro Vernizzi)