Il Jobs Act è stato, finalmente, approvato in maniera definitiva al Senato. Nei prossimi giorni potrebbe essere già pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Partirà così il rush finale per l’approvazione dei relativi decreti delegati di attuazione per far sì che, secondo la volontà dell’esecutivo, la riforma del mercato del lavoro sia operativa, almeno sul piano delle tipologie contrattuali (in particolare quella a tempo indeterminato “a tutele crescenti”), fin dal primo gennaio del 2015.



In questo quadro la Cgil guidata da Susanna Camusso, in buona compagnia della Uil “orfana” di Angeletti, proclama per venerdì prossimo, 12 dicembre, uno sciopero generale per ricordare come, a loro parere, così proprio non va. Il giudizio del sindacato di Corso d’Italia contro il governo sembra essere netto ed estremamente negativo.



Nel documento che accompagna la proclamazione dello sciopero, infatti, si sostiene che l’esecutivo continua a percorrere una strada che non ha prodotto risultati, incapace di contrastare efficacemente gli effetti della crisi e di sostenere un’economia reale supportando un rapido e concreto piano di investimenti che dovrebbe stimolare, sempre secondo la Cgil, una vera e significativa ripresa dei nostri sistemi produttivi ancora in stand-by.

Si sostiene, insomma, che le politiche economiche e quelle sul lavoro del renzismo hanno, finora, peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone, indebolito i nostri (già deboli) sistemi di protezione sociale e ridotto le tutele per chi è già stato più duramente colpito dalla crisi. Politiche, quindi, quelle del governo, che non hanno avuto, si denuncia, alcun effetto espansivo su un’economia da troppi anni in affanno.



I sindacati ritengono, infatti, che il Paese può tornare a crescere solo se si investe sul lavoro e si aiuta chi è in condizione di maggiore disagio, accettando, con coraggio, la scommessa dell’innovazione sociale e promuovendo più equità. La manifestazione è, inoltre, l’occasione per rivendicare, potremmo dire sul piano del metodo, il ruolo delle parti sociali come elemento di unione per il Paese con le diverse realtà del lavoro.

Quella del 12 è, insomma, anche l’ennesima occasione per un dialogo/scontro a distanza tra vecchia e nuova sinistra. Più complessivamente, sembra che il Jobs Act rappresenti l’elemento dirimente intorno al quale, in una Repubblica fondata sul lavoro, si ridefinirà l’intera offerta politica ponendo un discrimine tra vecchi e nuovi riformisti e vecchi e nuovi conservatori dello status quo.

In questa prospettiva è quindi arrivato il tempo anche per il sindacato nostrano di #cambiareverso provando a offrire risposte concrete e nuove a chi oggi non si sente rappresentato e che, certamente, non partecipa a manifestazioni, ritenute inutili, se non addirittura dannose, come quelle di venerdì. Il rischio per i sindacati, infatti, è di essere rottamato, più che dal Jobs Act, da quelli stessi lavoratori che ci si propone di difendere.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com

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