«Maggiore flessibilità e sgravi fiscali per il sistema integrativo». Sono le proposte in tema di pensioni di Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano. Dal “pension outlook” dell’Ocse è emerso che l’Italia è al primo posto tra i Paesi industrializzati per spesa previdenziale, con un’incidenza sui bilanci statali pari al 32% contro il 16% degli Stati Uniti e il 23% di Germania e Spagna.
Che cosa ne pensa dell’emendamento alla legge di stabilità che abolisce le penalizzazioni per chi va in pensione prima dei 62 anni con meno di 3.500 euro?
Trovo questa disposizione interessante perché aiuta soprattutto i pensionati con un reddito più modesto e consente loro di anticipare l’uscita dal lavoro creando la possibilità di un turnover generazionale. La ritengo un’opzione decisamente più appetibile di quelle che erano state offerte in passato per i pensionati.
Quindi è giusto limitare la flessibilità alle pensioni al di sotto di una certa soglia?
Sì. La flessibilità non era evidentemente fattibile per tutte le pensioni perché non c’erano le risorse e altrimenti sarebbero saltati i conti. In questo modo ovviamente la platea è più limitata, ma è possibile che all’interno di questa platea sia uno strumento efficace.
Questo emendamento è un passo indietro rispetto alla riforma Fornero?
Rispetto alla legge Fornero è una finestra che si apre. È ovvio che se i conti sono stati fatti correttamente è una misura che non dovrebbe sostanzialmente incidere sul rapporto entrate/uscite della cassa previdenziale in quanto dovrebbe risultare coperta. Rispetto alla Fornero è un’apertura che rende meno rigido il sistema com’era stato definito a suo tempo.
Occorre aprire altre “finestre” o questa può bastare?
È sempre e soprattutto una questione di risorse disponibili. Sono sostanzialmente favorevole al ricambio generazionale e a tutto ciò che lo rende possibile o lo agevola a saldi invariati. Non so dire però se in questo momento ci siano spazi di manovra per ulteriori finestre.
Per l’Ocse il sistema previdenziale italiano è il più costoso tra i Paesi avanzati. Lei che cosa ne pensa?
Non c’è dubbio che quello italiano sia un sistema costoso e ritengo che ci siano ancora molti aggiustamenti da fare. Il grosso dei nostri problemi sono legati ancora al sistema retributivo. Fino a quando non saranno smaltiti i pensionati con il sistema retributivo dovremo viaggiare su un sistema che per definizione non è in grado di autoalimentarsi. Soltanto con il sistema contributivo a regime completo le nostre pensioni diventeranno sostenibili.
Sempre per l’Ocse, il tasso di sostituzione dei pensionati italiani è pari all’80%, all’incirca la media dell’area. È un dato positivo?
Con la piena entrata a regime del sistema contributivo il tasso di sostituzione (cioè il rapporto tra ultimo stipendio e pensione, ndr) sarà destinato a diminuire. Dovremo porci il problema di come garantire un’esistenza libera e dignitosa a pensionati che si troveranno ad avere un tasso di sostituzione intorno al 50/55%.
Quale può essere la soluzione a questo problema?
Credo che non ci possa essere altra via se non quella di incentivare il più possibile il secondo pilastro del sistema pensionistico, cioè le pensioni integrative su base volontaria. Queste ultime non possono essere considerate come avviene adesso una via del tutto eccezionale, ma dovrebbe diventare qualcosa di strutturale, fisiologico e in grado di beneficiare di opportune agevolazioni fiscali.
In che modo è possibile introdurre degli incentivi?
Va ridotto il carico fiscale sulle pensioni integrative: si tratta di una manovra che tutto sommato si autofinanzia. Riducendo il carico fiscale ottengo meno entrate sulla fiscalità generale, ma sono anche in grado di attuare politiche sulle pensioni pubbliche in grado di spostare più rapidamente il sistema verso il contributivo pieno.
(Pietro Vernizzi)