Finalmente la legge delega in materia di ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, più nota come il Jobs Act, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La legge n. 183 del 10 novembre 2014, entrata in vigore ieri, tuttavia, inizierà a essere concretamente operante solamente dopo l’approvazione, si spera celere, dei relativi decreti di attuazione.



Una prima parte del progetto si è però già realizzata con il Decreto 34 del 2014 che ha previsto una significativa semplificazione in materia di apprendistato e liberalizzazione in materia di contratti a tempo determinato. In tale sede, quindi, si pongono anche alcune limitazioni rispetto alla possibilità quantitativa di attivare i contratti a termine quali l’individuazione, in sede di Ccnl, di limiti di utilizzazione di tale tipologia contrattuale.



Fatte salve queste disposizioni della contrattazione collettiva, il d.lgs. 368/2001, così come novellato, prevede che il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulabili da ciascun datore di lavoro non possa eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno di assunzione.

In questo quadro i consulenti del lavoro auspicavano, anche nella prospettiva della rivalutazione del rapporto tra le Parti sociali all’interno delle imprese, che si potessero valorizzare maggiormente le potenzialità dei cosiddetti “contratti di prossimità”, a partire, ad esempio, da deroghe proprio in materia di limiti quantitativi per i contratti a termine.



Tali contratti collettivi, infatti, quelli sottoscritti a livello aziendale o territoriale, è bene ricordarlo, possono realizzare, almeno in potenza, intese specifiche, anche in deroga alla normativa e ai Ccnl, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. Tra le materie derogabili si fa peraltro, nella normativa vigente, espresso riferimento alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro.

Il recente Interpello pubblicato dal Ministero (il 30/2014) sostiene, tuttavia, che tali accordi non possono rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale, ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione. Sembra, quindi, che si sia persa questa volta una preziosa occasione per valorizzare il ruolo delle Parti sociali e dare a queste un nuovo posizionamento nel complesso mondo delle relazioni industriali.

C’è da sperare, quindi, che nei prossimi mesi ci siano altre opportunità per valorizzare la capacità di fare buona contrattazione di prossimità nell’interesse delle imprese e dei lavoratori e che questa potenzialità non venga, altresì, tropo velocemente “rottamata”.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com