Nel testo della legge di stabilità è confermato lo stop alle penalizzazioni per chi si ritira dal lavoro prima dei 62 anni di età, purché il suo assegno finale sia inferiore ai 3.500 euro lordi al mese. La commissione Bilancio di palazzo Madama ha respinto invece gli emendamenti relativi ai docenti cosiddetti “quota 96”. Ne abbiamo parlato con Mario Seminerio, economista e autore del blog Phastidio.net.
Che cosa ne pensa dello stop alle penalizzazioni per chi va in pensione prima dei 62 anni?
Da un lato è una mano tesa nei confronti della minoranza del Pd e dell’opposizione sindacale, dall’altra è sicuramente un passo indietro, in quanto si va a incidere negativamente sull’impianto della riforma Fornero. Personalmente ritengo che avrebbe molto più senso un’estensione della cosiddetta “Opzione donna” anche agli uomini.
In che modo?
In passato è già stato previsto un meccanismo che permette alle donne di farsi ricalcolare il montante con il puro contributivo, per uscire prima della scadenza dei termini. In questo modo si concede una maggiore flessibilità in cambio di un taglio dell’assegno pensionistico. Un emendamento come quello inserito nella Legge di stabilità mi sembra invece il classico “zuccherino” per tenere buoni i sindacati, finendo come al solito per nuocere al sistema nel suo complesso.
Dove sta la differenza di fondo tra questo emendamento e l’Opzione donna?
L’Opzione donna comporta un taglio dell’assegno pensionistico pari a circa il 20/30%. L’emendamento alla Legge di stabilità permette invece di uscire dal lavoro con una posizione contributiva praticamente intatta.
Favorire un pensionamento anticipato può essere un modo per creare nuovi posti di lavoro?
No. Non esiste una necessità di ricambio perché non c’è domanda e le aziende comunque hanno organici che tendenzialmente sono sovrabbondanti. Per gli imprenditori il pensionamento di dipendenti, che magari sono anche particolarmente costosi perché hanno accumulato molti scatti di anzianità, non è altro che un beneficio. Escono dieci lavoratori esperti e sono sostituiti con uno o due stagisti: comunque non si tratta di un ricambio uno a uno. La via per produrre occupazione giovanile non è la staffetta generazionale.
Ritiene che vada applicato un contributo di solidarietà sulle pensioni retributive?
Premesso che ci sarebbero i soliti problemi di costituzionalità, per motivi di equità sarebbe utile attuare un ricalcolo generalizzato. Si prendono le pensioni liquidate con il retributivo, si rivedono i parametri con il contributivo e per quelle massime si potrebbe ipotizzare un contributo di solidarietà. Non sono certo però che questo determini un risparmio significativo per le casse pubbliche. Il grosso degli assegni sono nelle fasce di reddito basse o medio-basse e toccare quelle vorrebbe dire mettere a rischio la sussistenza dei pensionati.
Per l’Ocse, tra i paesi sviluppati il sistema previdenziale italiano è quello che incide di più sui conti pubblici. Per quale motivo?
Perché ci sono numerosi assegni con il retributivo puro che tuttavia non possono essere toccati perché si tratta di importi molto bassi, ma che costituiscono la massa della spesa pensionistica italiana. Ridurli vorrebbe dire mettere alla fame un numero elevatissimo di anziani, e di conseguenza il sistema non può essere modificato in quella che è la sua entità di spesa maggiore.
Questi anziani sono persone che durante la loro vita lavorativa non hanno pagato i contributi?
Abbiamo di fronte una situazione estremamente variegata ed è impossibile generalizzare. Ci sono persone con “buchi contributivi” che sono stati colmati dallo Stato, e altre che hanno una storia contributiva regolare ma avevano retribuzioni molto basse. Resta il dato di fatto che in Italia abbiamo un numero elevatissimo di assegni pensionistici bassi, che però nella loro totalità rappresentano una massa di spesa importante sulla quale non si può agire.
(Pietro Vernizzi)