Le “profezie” di Tiziano Treu sulle casse di previdenza dei professionisti si vanno avverando. In un’intervista aveva detto che le casse, prima di togliere soldi dalle tasche dei pensionati, farebbero bene ad alzare i contributi ai professionisti in attività (ne ho scritto l’11 dicembre scorso su queste pagine). Oggi, è proprio questo lo scenario che sembra profilarsi alle casse, cioè la necessità di dover alzare (ancora) i contributi ai professionisti in attività. Perché, proprio come predetto dal neo commissario dell’Inps, la corte di Cassazione, in due sentenze fotocopia, la n. 26226 del 12 dicembre e la n. 26102 del giorno prima, ha rafforzato il cosiddetto principio dei “diritti acquisiti” sulle pensioni (principio che vieta alle casse di toccare le pensioni liquidate).



In particolare, ha stabilito due cose. Prima: che l’autonomia delle casse non arriva a permettere l’assunzione di decisioni di “tagli” alle pensioni, perché il diritto a una “certa” pensione, una volta acquisito, può essere limitato soltanto da una legge. Seconda: che l’autonomia delle casse permette di manovrare solo sugli assicurati, ossia sui professionisti che pagano i contributi, tramite il loro aumento o tramite la riduzione delle (future) pensioni.



Nel dettaglio, la vicenda affrontata dalla Cassazione riguarda il contributo di solidarietà che la cassa di previdenza dei dottori commercialisti ha posto a carico dei pensionati, al duplice fine di riequilibrare i conti e di non sovraccaricare di oneri i professionisti più giovani. Le sentenze condannano la cassa a restituire ai pensionati il contributo solidarietà applicato sulle pensioni dal 2009 al 2013.

La questione non è nuova, perché già risolta una prima volta in Cassazione con la condanna della cassa a rimborsare i contributi di solidarietà trattenuti sulle pensioni dal 2004 al 2008 (sentenza n. 25029/2009). Solo che adesso il quadro normativo è diverso. Infatti, proprio in conseguenza di questo contenzioso e allo scopo di salvaguardare alle casse la possibilità di “aggredire” le pensioni il Legislatore è intervenuto tre volte: con la Finanziaria 2007 (art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006); con la riforma delle pensioni Fornero (art. 24, comma 24, del dl n. 201/2011 convertito dalla legge n. 214/2011); con la Legge di stabilità del 2014 (art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013). La novità dunque è qui: la sentenza s’inserisce nel quadro normativo aggiornato che aveva fatto immaginare il superamento delle censure giurisprudenziali. Invece non è così. Almeno fino all’anno 2011.



In sintesi, la Cassazione afferma che il regime di autonomia riconosciuto alle casse dalla legge n. 335/1995 (riforma Dini delle pensioni) non è stato modificato dai successivi interventi legislativi. Un’autonomia, in particolare, che:

Dà licenza alle casse di intervenire sui professionisti che pagano i contributi, mediante una variazione delle aliquote contributive, oppure la riparametrazione dei coefficienti di rendimento, oppure ogni altro criterio di calcolo della pensione;

Vieta alle casse qualunque tipo d’intervento sui pensionati tali da consentire alle casse «di sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà».

La Cassazione, insomma, preclude alle casse ogni possibilità di “limitare” le pensioni. Unica via d’uscita, aggiunge, è che questa “limitazione” venga imposta da una legge. Perché la legge può sempre azionare la scure sulle pensioni; e può farlo anche se, maturato il diritto, la pensione sia già in pagamento, a patto che l’importo risulti “proporzionale alla quantità dei contributi pagati” (sembrerebbe, dunque, che la Cassazione non sarebbe contraria a un contributo di solidarietà che, per legge, imponesse di ricalcolare la pensione con il criterio contributivo al posto di quello retributivo).

In conclusione, per la Cassazione solo il Legislatore del 2011 (riforma Fornero), e non quello del 1995 (riforma Dini) e del 2006 (Finanziaria 2007), ha autorizzato le casse professionali a ridurre unilateralmente la misura delle pensioni per le quali il diritto si è già maturato. Tutto il precedente è illegittimo e i relativi contributi di solidarietà trattenuti devono ora ritornare in tasca ai pensionati.

Morale della favola, la cassa dei dottori commerciali deve rimborsare ai pensionati i contributi trattenuti sulle pensioni. Lo stesso devono fare le altre casse professionali che, eventualmente, hanno operato allo stesso modo. A questo punto il problema è un altro: le casse come faranno fronte alle minori risorse scaturenti dal dover rimborsare il contributo di solidarietà?

Staremo vedere gli sviluppi della vicenda, consapevoli del fatto che la via dell’aumento dei contributi è una strada che va sempre in discesa.