Gli ultimi dati disponibili sul nostro mercato del lavoro (pubblicati dall’Istat) ci dicono che ad ottobre gli occupati erano 22 milioni 374 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-55 mila) e sostanzialmente stabili su base annua. Allo stesso tempo il tasso di occupazione, raggiungendo il 55,6%, è diminuito di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali, mentre è aumentato di 0,1 punti rispetto a dodici mesi prima.
Il numero di disoccupati, inoltre, pari a 3 milioni 410 mila, è cresciuto del 2,7% rispetto al mese precedente e di ben il 9,2% su base annua. Un dato, quest’ultimo, che registra, quindi, un aumento di ben 286 mila persone senza lavoro nel nostro Paese solamente negli ultimi 12 mesi.
In questo quadro, il Consiglio dei ministri di oggi dovrebbe licenziare il primo e, per molti aspetti, più significativo decreto attuativo del Jobs Act (la legge 183/2014), quello relativo al contratto a tutele crescenti e chiamato, quindi, a ridisegnare gli effetti di un licenziamento illegittimo (il famoso articolo 18).
Sorge, quindi, un dubbio. Questo decreto rappresenterà, per i lavoratori italiani, un regalo per il Natale che festeggiamo domani o, altresì, un anticipo (non richiesto) del carbone dell’Epifania? Il terreno dei decreti attuativi rappresenta, infatti, il banco di prova sulla tenuta del compromesso raggiunto, durante l’iter della legge, e, per molti aspetti, anche della maggioranza politica che supporta l’esecutivo.
È da segnalare, tuttavia, come anche nell’elaborazione del decreto sia mancato quel dialogo con le Parti sociali, specialmente sindacali, che ha caratterizzato tutto il percorso parlamentare del disegno di legge. Sul metodo, infatti, più che sul merito (riformista) del Jobs Act si addensano le maggiori critiche.
È, tuttavia, un segnale importante, così almeno riferiscono gli insider, che, assieme al decreto “a tutele crescenti”, sarà approvato quello, peraltro più costoso per la finanza pubblica, sulla nuova Aspi che dovrebbe ampliare, ad esempio, il godimento delle prestazioni in caso di disoccupazione anche ai molti lavoratori para-subordinati italici.
Questa decisione può essere letta, infatti, assieme a scelte come quella relativa ai patronati inserita nella Legge di stabilità, come un’importante apertura e un’attenzione per la tenuta della coesione sociale in un momento in cui l’Italia non è ancora uscita dal buio tunnel della crisi.
C’è da sperare, quindi che, nel 2015 si lavori per creare le condizioni per costruire un clima di maggiore fiducia nel Paese e aiutare la riduzione delle tensioni sociali. Questo sarebbe il più bel regalo che Matteo Renzi, questa volta in versione Babbo Natale, potrebbe lasciare sotto l’albero di milioni di italiani a partire da quegli oltre tre milioni che vivono il dramma della disoccupazione.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com