Dopo un Consiglio dei ministri accompagnato da toni a tratti aspri, alla vigilia del giorno di Natale, con l’approvazione dei primi decreti attuativi del Jobs Act viene data un’accelerazione alla riforma del lavoro. Accolto il tanto atteso contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che andrà di pari passo con gli sgravi alle nuove assunzioni introdotti con la Legge di stabilità 2015. Rimossa la tutela del reintegro in caso di licenziamenti per motivi economico-organizzativi: per il licenziamento economico illegittimo le tutele saranno solo monetarie, con indennizzi certi e crescenti in base all’anzianità di servizio del lavoratore (si parla di una forbice da un minimo di 4 mensilità per anno di servizio a un massimo di 24 mensilità). Resta, invece, il reintegro per i licenziamenti nulli e discriminatori e, sembra, anche per i licenziamenti disciplinari laddove il Giudice rilevi che il fatto contestato al lavoratore non sussiste. Confermata, inoltre, la possibilità per il datore di lavoro di optare per la conciliazione veloce: una mensilità per anno di anzianità fino a 18 mensilità, con un minimo di 2.
Le nuove regole sui licenziamenti economici vengono estese anche ai licenziamenti collettivi. Ma non solo: finalmente varranno anche per i partiti e i sindacati che fino a oggi erano stati irragionevolmente esclusi. Non viene, invece, approvato il discusso licenziamento per scarso rendimento. Approvato, infine, salvo intese, il decreto che introduce la nuova Aspi, che dovrebbe essere estesa a 24 mesi e concessa a una platea più ampia di disoccupati.
Queste le importanti novità che segneranno il prossimo futuro del mercato del lavoro. In attesa di esaminare i testi normativi, si possono già esprimere commenti positivi riguardo alle nuove regole che, senza dubbio, apporteranno maggiore flessibilità sia in entrata che in uscita. È un passo avanti, ma ciò non è sufficiente.
Suscita qualche perplessità il fatto che le novità riguarderanno esclusivamente i neo assunti, con inevitabili ripercussioni discriminatorie. Ma soprattutto permane un’ampia discrezionalità da parte della Magistratura nella valutazione delle condotte integranti le motivazioni dei licenziamenti disciplinari, elemento che già era presente nella Riforma Fornero e che sarebbe stato auspicabile venisse perlomeno attenuato.
In altre parole, la mancanza di chiarezza inequivocabile sulle situazioni fattuali che porteranno alla reintegra e non, avrà quale inevitabile conseguenza l’aumento di interpretazioni giurisprudenziali e quindi, di conseguenza, nuove incertezze legali che – veramente – dovevano essere evitate.