Il Governo di Matteo Renzi, che ha appena ottenuto la fiducia delle Camere, dovrà certamente fare i conti con il giudizio di Bruxelles riguardo il percorso di aggiustamento strutturale delle finanze pubbliche italiane; nei fatti già a metà del prossimo aprile il piano dei risparmi attesi per l’anno in corso dovrà essere ultimato. Il lenzuolo è corto e la pressione fiscale a livelli di guardia. Bisogna quindi agire sui costi con coraggio e rapidità. Vorrei ritornare ad affrontare il problema delle rendite pensionistiche e delle ingiustizie generazionali che gravano sul futuro di questo Paese. In particolare modo, affrontando l’argomento delle pensioni d’oro, appannaggio di una élite ristretta, che rappresentano una emorragia di denaro da parte dell’Inps non più sostenibile ed eticamente non più tollerabile.



Una voragine che assorbe le contribuzioni di milioni di lavoratori cittadini, che versano ora i propri contributi a favore di pensioni di pochi ottimati, che continuano ad accumulare ogni mese un indebito arricchimento, legalmente istituzionalizzato nei decenni precedenti. Il metodo contributivo del calcolo della pensione, già abrogato, ma non regolamentato, nè calmierato nelle sue distorsioni, continua comunque a incidere pesantemente sui costi della Pubblica amministrazione, determinando una perenne disequilibrio dei conti dell’Inps.



Sul sito del Ministero delle finanze, che ognuno di noi può consultare, vi sono i dati delle dichiarazione dei redditi dei contribuenti italiani: gli ultimi disponibili si riferiscono all’anno 2011. Navigando fra i numeri emerge che nel 2011:

8.081 pensionati – in aumento rispetto al 2010, quando erano invece 7.844 – percepiscono oltre 300.000 euro, con un costo minimo di 2,4 miliardi di euro all’anno a carico dell’ente e quindi di noi contribuenti. Un costo pari alla seconda rata Imu, oggetto di discussione e forti contrasti politici lo scorso anno;

13.614 pensionati – in aumento rispetto al 2010, quando erano invece 13.058 – si collocano fra i 200.000 e i 300.000 euro. Se facciamo una semplice media aritmetica a euro 250.000, il costo a carico dell’Inps è pari a 3,4 miliardi di euro;



22.513 pensionati – in aumento rispetto al 2010, quando erano invece 21.386 – percepiscono fra i 150.000 e i 200.000 euro. In questo caso la media aritmetica a 175.000 euro determina un costo a carico dell’Inps di 3,9 miliardi di euro;

Nella fascia fra i 120.000 e i 150.000 euro vi sono 32.622 pensionati – in aumento rispetto al 2010, quando erano invece 31.259 – con un costo medio complessivo di 4,4 miliardi di euro;

Infine i pensionati fra i 100.000 e i 120.000 euro sono 43.901- in aumento ai 41.327 del 2010 – con un costo medio complessivo di 4,8 miliardi di euro.

Riassumendo: nel 2010 vi erano 42.288 pensionati, aumentati nel 2011 a 44.208, con una pensione oltre i 150.000 euro. Il costo complessivo nel 2010 è stato di 9,3 miliardi di euro, nel 2011 di 9,7 miliardi di euro, con un incremento del 4,3% . Vi sono poi 76.523 pensionati, nel 2010 erano 72.856, che percepiscono tra i 100.000 e 150.000 euro. Nel 2010 il costo a carico dell’Inps è stato di 8,8 miliardi di euro e nel 2011 invece si è incrementato del 4,3% a 9,2 miliardi di euro.

Dagli ultimi dati Istat la disoccupazione giovanile rilevata è pari al 41,6%, in valore assoluto vi sono 605.000 giovani disoccupati in cerca di lavoro. Se si istituisse un sussidio di disoccupazione giovanile per tutti, di 500 euro al mese, ovvero un contributo fisso di pari importo alle imprese che assumono i giovani, il costo complessivo sarebbe di 3,6 miliardi di euro e, se volete imbarazzarvi, questo costo è pari al costo che paga l’Inps ai primi 12.808 pensionati italiani, numero questo stimato per eccesso.

Il nuovo Governo deve intervenire, il futuro Premier Matteo Renzi – dovendo rispettare il suo spirito di rottamatore – deve prendere atto che non è più eticamente corretto accettare questa situazione. Si uccide il futuro delle giovani generazioni destinate a percepire in vecchiaia pensioni risicate, determinate con il metodo contributivo, quando invece oggi vi sono evidenze di sperequazioni generazionali, con pensioni calcolate con il vecchio metodo retributivo. Il costo a carico della comunità non è più sopportabile considerando, dai dati disponibili esaminati, che questi pensionati d’oro non sono strutturalmente in contenimento, anzi sembrerebbe in aumento.

Se si definisse un tetto massimo alle pensioni a 100.000 euro annui si avrebbero i seguenti risparmi: 1, 6 miliardi di euro per la fascia oltre i 300.000 euro; 2,1 miliardi di euro per la fascia da 200.000 a 300.000 euro; 1,7 miliardi di euro per la fascia da 150.000 a 200.000 euro; 1,1 miliardi di euro per la fascia da 120.000 a 150.000 euro; 439 milioni di euro per la fascia da 100.000 a 120.000 euro.

Certamente questo è solo un esercizio teorico, ma agendo su un numero esiguo di pensionati, 153.432 persone, che avrebbero pur sempre una pensione più che decorosa, si avrebbe un risparmio di circa 7 miliardi di euro per l’Inps e quindi per noi contribuenti. In questo momenti così difficili, con oltre 70 miliardi di euro di arretrati da pagare da parte della Pubblica amministrazione alle imprese fornitrici, con un tasso di disoccupazione fra i più alti in Europa, con una crisi oramai endemica del tessuto industriale è necessario riportare il senso di equità nella società e agire sulle rendite finanziarie e sulle pensioni d’oro, è necessario agire per il cambiamento, per riportare speranza alle giovani generazioni, al sistema produttivo.

Se non si vede il futuro, si perdono gli entusiasmi, si perde quella forza vitale, l’energia della speranza, l’immaginazione creatrice. Così la coscienza ci rende tutti codardi, ricordava Amleto nel suo famoso monologo. Penso sia invece ora che imprese di grande altezza e momento riprendano il nome di azione.