Com’è ben fin troppo ovvio, gli italiani non vivono di sistemi elettorali. Sugli scaffali dei supermercati, sempre più spesso nei discount, non si trovano, infatti, né “gli gnocchi alla preferenza”, né “gli spaghetti al doppio turno”. Peraltro neanche la politica costruisce il proprio successo su queste, seppur importanti, regole. Le leggi elettorali, infatti, contano i voti, difficilmente li producono. Una forza politica e una classe dirigente, altresì, si misurano sulla capacità di individuare ricette buone per lo sviluppo economico del Paese e sulla forza, quando al Governo, di provare a realizzarle.



In questi giorni, quindi, Chef Letta è chiamato, con i modesti ingredienti a disposizione, a costruire un menu che trovi l’accordo di tutti i commensali (Pd, Scelta Civica, Ncd) e che rappresenti una piattaforma comune e condivisa all’interno della quale opererà, è da augurarsi con maggiore incisività, nei prossimi mesi il suo esecutivo. Una pietanza che non potrà mancare certamente sul tavolo sarà, tuttavia, un importante “Piano per il lavoro”.



In attesa di avere maggiori informazioni e indicazioni sui contenuti dell’esotico “Jobs Act” renziano, si deve sottolineare come il Nuovo Centrodestra abbia già avanzato la sua proposta presentando al Senato un disegno di legge sottoscritto anche dalla componente più moderata e popolare di quella che fu la “Lista Monti”.

Il testo del disegno di legge propone, riprendendo una vecchia tesi del prof. Biagi e di Tiziano Treu, l’idea di uno “Statuto dei Lavori” che, fatto salvo l’insieme delle norme comunitarie inderogabili, rimetta ogni altra regola alla contrattazione di prossimità inclusi gli accordi individuali quando questi siano certificati e il lavoratore sia assistito. Oggi il dinamismo e il pluralismo del mercato del lavoro richiedono, infatti, secondo i promotori di tale iniziativa, soluzioni su misura adeguate alle specifiche condizioni chiamate a disciplinare e non, altresì, un unico schema che dovrebbe, quasi per magia, essere in grado di rispondere alla ricchezza di situazioni che la realtà delle imprese ci presenta.



Una flessibilità, quindi, buona che diventa ancora più necessaria in un periodo difficile, come quello che stiamo vivendo, fortemente caratterizzato dall’incertezza del futuro e dall’impossibilità di prevedere, con una certa attendibilità, gli andamenti del mercato. Una proposta, insomma, chiara che rappresenta una sintesi alta della soluzioni che, ormai da oltre dieci anni, vengono portate avanti da quelle componenti politiche e culturali che si riconoscono nella tradizione del moderatismo e del popolarismo europeo.

Idee che, certamente, incideranno nel dibattito all’interno della maggioranza per la definizione del cosiddetto “contratto di programma”, ma che, allo stesso tempo, vogliono rappresentare l’ingrediente principale di una nuova e diversa e ricetta di politica economica che i moderati italiani proporranno agli elettori a partire dalle prossime elezioni europee.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com