A gennaio il tasso di disoccupazione è salito in Italia al 12,9%, quasi un punto percentuale in più rispetto alla media dei paesi Ue. Lo rende noto l’Istat precisando che si tratta di dati ancora provvisori. Si tratta del tasso più alto sia dall’inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977. Nel 2013 i disoccupati hanno sfiorato quota 3,3 milioni, +13,4% rispetto all’anno precedente. Sempre secondo l’Istat, l’incremento riguarderebbe “entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni”.È salito anche il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che è arrivato al 42,4%. Il dato peggiore si registra al Sud. Su questi dati che descrivono una situazione sempre più drammatica per il nostro Paese, abbiamo chiesto un commento a Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università degli Studi di Milano.



La disoccupazione è cresciuta ancora: adesso è al 12,9%, quasi un punto percentuale in più della media europea. Si aspettava un dato del genere?

Questi dati ci ricordano che quando si perde domanda effettiva, diceva il vecchio Keynes, non la si ricrea con la bacchetta magica. Se non c’è una profonda inversione di tendenza, se imprese e uffici chiudono, è chiaro che aumenta il numero dei disoccupati per strada. Se in più diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie e aumentano le tasse sui consumi, è chiaro che non si crea domanda effettiva.



Cosa intende con domanda effettiva e come si fa a ricrearla?

La forza del moltiplicatore, quella cosa che fa girare la macchina, è la domanda effettiva. Non è come dicono i neoclassici che l’offerta crea la domanda; eh no, è la domanda che crea l’offerta. E i nodi adesso vengono tutti al pettine.

Quali nodi?

Avevamo la lezione della Spagna e della Grecia, e siamo andati avanti con questa ostinazione a pensare che sono le regole del mercato del lavoro che fanno l’occupazione, come sostengono i Biagi, i Treu e gli Ichino che sono dei giuristi; fosse vivo il povero Tarantelli inorridirebbe! Certo, cambiare le regole può dare una spinta ma non crea occupazione. Se non c’è investimento non c’è occupazione.



Quali regole occorre cambiare?

Dobbiamo diminuire le tasse su chi assume, abolire l’articolo 18; così com’è adesso è il fallimento della Fornero: l’articolo 18 ha dato ancora più potere alla magistratura. Era meglio l’arbitrato. Poi c’è la riforma delle pensioni: adesso cominciamo a vedere cosa vuol dire andare in pensione a 67-68 anni. Posti di lavoro non se creano. Come si fa a immaginare un mondo senza pensioni di anzianità o di vecchiaia? Abbiamo fatto di tutto per creare disoccupazione e adesso i nodi vengono tutti al pettine. Adesso aspetto la Germania.

Perché, cosa farà la Germania?

Quando la Germania, che non dimentichiamoci è la locomotiva d’Europa – e l’euro mi pare evidente è il marco travestito, annuncia che avrà una crescita attorno all’1%, c’è da aver paura per il futuro.

Il Jobs Act di Renzi servirà a combattere la disoccupazione?

È meglio questo Jobs Act della riforma Fornero. Renzi dice cose ragionevoli. Il Jobs act è meglio perché se fai un contratto per cui assumi senza pagare le tasse per tre anni è un passo avanti. Però non illudiamoci; a fianco di questo Jobs Act dobbiamo creare investimento. Ma con l’euro, la regola del 3% e il Fiscal compact è difficilissimo. Anche il ricorso alla Cassa depositi e prestiti non è una soluzione: non dobbiamo dimenticare che Cdp gestisce il risparmio postale, non è che si possa tirare troppo la corda. Altrimenti la cosa diventa rischiosa. Quindi bisogna cambiare le regole europee. Devo dire che c’è una cosa positiva di cui nessuno ha detto niente.

 

A cosa si riferisce?

Al fatto che un cattolico come Renzi ha aderito al Pse. E Schulz se non cambia posizione è l’unico che ha una posizione critica nei confronti dell’austerity. La cosa più interessante di questi ultimi mesi è che i socialisti lentamente si stanno trasformando da principali artefici della finanziarizzazione dell’economia – sono stati loro a sregolare l’economia, cominciando da Blair – a sostenere che non bisogna più fare l’austerity. Speriamo che qualcosa cambi.

 

Giudizio sospeso sul neopremier?

A Renzi bisogna dare tempo, è ancora in culla. La cosa che mi indispettisce è che abbiamo dato credito a uno come Monti. Diamo almeno una chance a Renzi. Finora ha fatto cose giuste. Certo non è il mio tipo: non vado con le mani in tasca al Senato. Tornando a quello che dicevamo all’inizio, per ricreare domanda effettiva bisognerà tornerà all’intervento pubblico, non c’è molto da fare. E per fare questo bisogna rinegoziare i trattati di Maastricht. C’è da dire anche un’altra cosa.

 

Prego.

 Aumenta il debito pubblico e diminuisce lo spread, questo vorrà pur dire qualcosa. No?

 

Cosa?

Vuol dire che i mercati finanziari ragionano in questo modo: adesso siamo talmente cheap che comprano i titoli di stato. Quindi non mi pare che si stia verificando l’automatismo per cui i mercati ci bastonano per il debito pubblico. Vuol dire che c’è spazio per fare politica economica. Se per creare lavoro dobbiamo aumentare un po’ il debito pubblico, lo si faccia.

 

Una cosa del genere non le fa venire un po’ di mal di pancia?

Il mal di pancia viene ai guru bocconiani che da anni non ne imbroccano una. Se addirittura il Fmi – i profeti dell’austerity – con la Lagarde dicono che bisogna cambiare tutto qualcosa vorrà dire.

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