“Ascoltiamo Confindustria e Cgil, Cisl e Uil ma decidiamo noi. Avremo i sindacati contro? Ce ne faremo una ragione”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando a “Che tempo che fa”, la trasmissione di Fabio Fazio. Il premier ha quindi riservato una battuta al segretario generale della Cgil: “Susanna Camusso ha parlato del culto della personalità nei miei confronti? Non credo che l’abbia detto, comunque sarebbe la cosa più carina che ha detto su di me negli ultimi anni”. Per Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta Civica, “i sindacati oggi svolgono ancora un ruolo fondamentale, ma il loro mestiere è un po’ cambiato: non consiste più tanto nel rivendicare standard minimi di trattamento inderogabili, bensì nel guidare i lavoratori, azienda per azienda, nella valutazione del nuovo piano aziendale”.
Che cosa ne pensa delle dichiarazioni di Renzi sui sindacati?
Ascoltare tutti, soprattutto le associazioni maggiori, ma poi decidere autonomamente è il dovere di qualsiasi Governo degno di questo nome. Intendiamoci: sarebbe sbagliata qualsiasi sottovalutazione del ruolo importantissimo delle grandi associazioni imprenditoriali e sindacali, come luoghi di partecipazione e di elaborazione del consenso; ma non mi sembra che questo sia il rischio che corre il Governo Renzi.
Non pensa che Renzi stia proprio sottovalutando il ruolo delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati, l’autonomia del sistema delle relazioni industriali?
Se le cose andranno come spero, i provvedimenti del Governo Renzi restituiranno al sistema delle relazioni industriali l’autonomia che esso ha perduto negli ultimi decenni. Va proprio in questa direzione il Codice semplificato del lavoro, alla cui messa a punto stiamo lavorando molto intensamente, e che in molte materie allargherà gli spazi della contrattazione collettiva applicando il principio di sussidiarietà. Va nella stessa direzione la legge sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, a cui pure stiamo lavorando, che si limiterà a una funzione di regolazione della materia là dove gli accordi interconfederali non arrivano. In questo modo si volterà pagina rispetto a un modello sbagliato di relazioni industriali, basato sulla negoziazione tra Governo, sindacati e associazioni imprenditoriali dei contenuti di una legge molto, troppo intrusiva.
Bonanni ha risposto a Renzi: “Non faccia l’errore di fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono sindacati e sindacati, come ci sono politici e politici. Tolga i paraocchi”. E’ d’accordo con il segretario della Cisl?
Sono d’accordo con Bonanni se vuole sottolineare il fatto che su tutti i grandi temi, in materia di relazioni industriali, dagli anni ’50 in poi, la Cisl ha compiuto la scelta rivelatasi poi quella giusta: dall’opzione a favore della contrattazione aziendale negli anni ’50, all’accordo di S. Valentino del 1984 sulla scala mobile, all’opzione per uno spostamento verso i luoghi di lavoro del baricentro della contrattazione collettiva nei due decenni successivi, fino alla vicenda Fiat del 2010. La Cgil non ha ancora fatto la necessaria autocritica per quel “no” al nuovo piano industriale di Marchionne, che se avesse prevalso avrebbe significato la perdita di migliaia di posti di lavoro di prima qualità. Non sarei d’accordo, invece, se Bonanni volesse dire qualche cosa d’altro.
Che cosa, precisamente?
Se Bonanni mirasse a instaurare un rapporto privilegiato tra il Governo e la confederazione da lui guidata. Il ruolo del Governo e quello del sindacato non devono mescolarsi o sovrapporsi: sono due ruoli molto diversi, che devono svolgersi in piena autonomia l’uno dall’altro.
C’è il rischio che Renzi confonda il superamento della logica concertativa con la negazione del ruolo svolto dai sindacati?
L’equilibrio giusto, in questa materia delicata, non è sempre facile. Ma penso che una persona con l’intelligenza di Matteo Renzi non faticherà a trovarlo.
Renzi polemizza con la Camusso ma apre a Landini. Qual è il senso di questa operazione?
Non c’è dubbio che tra il Presidente del Consiglio e il leader della Fiom ci sia una corrente di simpatia personale. Però tra i due c’è anche un profondo dissenso in materia di politica del lavoro: per cui mi sembra che eventuali convergenze tra loro possano essere soltanto tattiche.
Storicamente i sindacati italiani sono stati in grado di assumersi responsabilità anche difficili, o si sono limitati a porre freni e vincoli?
Come ho detto prima, nell’ultimo mezzo secolo su molte delle scelte cruciali la Cisl è stata più lungimirante della Cgil. Ma in alcuni casi, come nella svolta dell’EUR del 1977 e negli accordi tripartiti del 1992 e del 1993 con i Governi Amato e Ciampi, anche la Cgil ha saputo fare per intero la sua parte.
Quando conta oggi l’associazionismo, anche sindacale, per non lasciare soli lavoratori, pensionati e disoccupati?
Conta ancora moltissimo. Ma è il mestiere del sindacato che è un po’ cambiato: non consiste più tanto nel rivendicare standard minimi di trattamento inderogabili, bensì nel guidare i lavoratori, azienda per azienda, nella valutazione del nuovo piano aziendale e, se la valutazione è positiva, guidarli nella contrattazione della scommessa comune con l’imprenditore. Una contrattazione che, se vogliamo aumentare la nostra attrattività nei confronti delle grandi multinazionali, deve saper essere a 360 gradi.
Perché?
Perché una multinazionale che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone in giro per il mondo è nel suo buon diritto quando, progettando un nuovo insediamento produttivo in Italia, chiede di non essere costretta ad applicare un contratto nazionale stipulato a un tavolo a cui essa non ha partecipato, da altre imprese che magari applicano tecnologie e modelli organizzativi arretrati e hanno un malinteso interesse a ostacolare l’ingresso nel settore di un’impresa più moderna ed evoluta. Non dimentichiamo che l’organizzazione del lavoro a cui si ispirano i nostri contratti collettivi nazionali è per lo più ancora quella della prima metà degli anni ’70.
(Pietro Vernizzi)