“Bisogna smetterla di usare diserbanti sociali, non c’è una forma d’impresa giusta e una sbagliata”. Il ministro Giuliano Poletti racconta della nipotina di sette anni che non sa cosa siano le lucciole, sterminate dai diserbanti, per dire che non è giusto rinunciare a qualcosa che nella realtà ha un valore.
Intervenuto ieri a Roma al convegno di presentazione del Rapporto “Sussidiarietà e… qualità nei servizi sociali”, il ministro risponde così, senza indugi, alla domanda da cui ha preso le mosse l’indagine della Fondazione per la Sussidiarietà e del Politecnico di Milano: ha ancora senso opporre pubblico e privato nei settori del welfare? Imprese pubbliche, cooperative, imprese sociali, realtà del volontariato, non profit…: una pluralità di forme con cui una società ha dato risposta ai suoi bisogni e a cui sarebbe sbagliato rinunciare. Non solo, per il neo-ministro, “il pluralismo delle forme è sempre un elemento di miglioramento della società. Senz’altro c’è bisogno che le diverse realtà economico-sociali entrino in rete, ma ogni realtà, con la sua diversità, ha dei contenuti da esaltare”.
Non si tratta di un semplice afflato liberale: tutto il mondo del Terzo settore in Italia vanta una storia e un apporto imprescindibile nel tessuto sociale ed economico. E “questo Rapporto sulla sussidiarietà ci dice che è possibile costruire una relazione virtuosa tra le diverse forme, che possono coesistere e collaborare”. Ad onta di quello che non si capisce neanche in Europa “che sta affermando un’idea di mercato “perfetto” come strumento di misurazione adottato per realtà diverse”.
Certo, occorre un non profit moderno, “la realtà del Terzo settore deve essere trasparente e rendicontabile, e non ha paura di esserlo”, come è emerso dal lavoro del Rapporto presentato ieri. Il Ministero che Poletti dirige qualche anno fa è stato, giustamente, riorganizzato divenendo Ministero del Lavoro e del Welfare. La crisi del welfare è intimamente legata alla bassa produzione della ricchezza e alla crisi occupazionale, che aggrava ciò che – come dice il ministro – davvero “non gira in questo Paese: l’iniqua redistribuzione della ricchezza”.
Ricordando il provvedimento presentato il giorno prima, ha sottolineato che “tasseremo le rendite finanziarie e quello che otterremo lo utilizzeremo per abbassare l’Irap alle imprese, perché le imprese possano fare lavorare la gente”. E in una parte accorata del suo intervento, ha insistito sul fatto che “sia un delitto lasciare che ci sia qualche cittadino italiano (e sono milioni) a casa senza nulla da fare. Non è ragionevolmente ammissibile”. Senza lavoro, niente reddito da investire nel welfare.
Ma non solo: viene meno la dignità dell’uomo: “Sentirsi inutili a sé e inutili agli altri è la peggiore delle cose che può colpire una persona. Un Paese che si dice civile non può ammettere che ci sia una situazione del genere. Per questo è fondamentale creare le condizioni perché un cittadino possa avere un’occupazione, qualcosa da fare, che può essere inquadrata in un contratto o essere un’azione volontaria”. E’ necessaria però una corresponsabilità del lavoratore nel cercare soluzioni uscendo da massimalismi e assistenzialismi.
Il problema è che “in questo Paese siamo abituati a dividere il mondo in bianco e nero. Occupato-disoccupato. Con contratto-senza contratto. Ma il mondo è fatto di tante sfumature. Certo, è più difficile far funzionare un sistema complesso in cui ci sia una pluralità di imprese, di apporti, di sistemi relazionali… Però pensare di risolvere i problemi recintando un pezzo di società a cui dare 500 euro per stare a casa a non far niente non è una buona cosa.
I 500 euro vanno dati a chi è nel bisogno a cui però va chiesto di essere parte della soluzione del problema. L’Italia uscirà da questa condizione se ogni italiano assumerà su di sé una parte di questa responsabilità, se si sentirà fino in fondo coinvolto in un disegno”. Ma ora è venuto il momento di scegliere. E per farlo servono strumenti che entrino nel merito di qualità ed efficienza degli strumenti di welfare, come quello proposto dal Rapporto sulla sussidiarietà presentato ieri. Non possiamo più rischiare di prendere lucciole per lanterne…