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Le novità in materia di lavoro approvate mercoledì dal Consiglio dei Ministri sono contenute in un decreto legge e in un disegno di legge delega. Le prime hanno un impatto immediato sul mercato del lavoro e riguardano essenzialmente la flessibilità in entrata: l’estensione da 12 a 36 mesi della a-causalità, sia del contratto a termine, sia del contratto di somministrazione, limitatamente al primo rapporto di lavoro subordinato concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore; l’identificazione del limite massimo del numero dei contratti a termine attivabili da un’impresa, pari al 20% dell’organico complessivo; la liberalizzazione della disciplina delle proroghe del contratto a termine; la semplificazione dell’apprendistato.
Apprezziamo le intenzioni del Governo: è certamente positivo che si lavori per migliorare la flessibilità del mercato del lavoro. Però una preoccupazione ci sentiamo di esprimerla, anche alla luce della nostra esperienza diretta di operatori nel mercato del lavoro su scala globale: attenzione a non trasformare la flessibilità in precarietà! Nei paesi in cui il mercato del lavoro è più sviluppato (Regno Unito, Olanda, Germania, Francia) la flessibilità viene gestita in misura assai maggiore di quanto non avvenga in Italia attraverso il lavoro temporaneo tramite agenzia.
Tutto ciò non è un caso, ma la naturale evoluzione di sistemi regolatori che hanno individuato nelle Agenzie per il lavoro una “camera di compensazione” in grado conciliare le legittime esigenze di flessibilità delle imprese con quelle parimenti fondamentali di continuità di reddito per le persone. Questo significa dare alle aziende la flessibilità che chiedono, senza trasformarla in precarietà per i lavoratori che solo con le agenzie possono contare su una maggiore continuità lavorativa e, nel nostro Paese, su un sistema formativo e di welfare all’avanguardia in Europa.
Anche da noi si apre ora l’opportunità, nel percorso parlamentare di conversione del decreto legge, di puntare ancora di più sulla buona flessibilità rappresentata dalle Agenzie per il lavoro. Dal punto di vista operativo ciò potrebbe essere fatto fin da subito provvedendo a semplificare ulteriormente il contratto di somministrazione attraverso la totale eliminazione della causale, seguendo le indicazioni formulate dalla Commissione europea con la Direttiva 104 del 2008, e l’abolizione del contributo aggiuntivo dell’ 1,4% introdotto a supporto dell’Aspi dalla recente riforma Fornero.
Se, come mi auguro, la via identificata sarà di dare priorità a strumenti quali la somministrazione, l’apprendistato e il contratto a termine, allora andrà anche eliminato dal sistema l’uso distorto di forme di cattiva flessibilità che si configurano a tutti gli effetti come una forma di concorrenza sleale (e fraudolenta) tra imprese e di dumping sociale verso i lavoratori. Diventerà quindi necessario provvedere alla definitiva limitazione del contratto a progetto, delle partite Iva, dell’associazione in partecipazione e di tutte le forme di para-dipendenza che consentono di scavalcare le regole adottando cattive pratiche e contratti meno remunerativi e tutelanti per i lavoratori e meno contributivi per le casse dello Stato.
Tutto ciò passa attraverso la presa di coscienza collettiva di un’evidenza: senza le Agenzie per il lavoro la flessibilità, cosi vitale per la competitività del sistema-Paese, rischia di trasformarsi in precarietà.