Il governo ha emanato il testo definitivo del decreto legge su imprese e occupazione. Due le principali novità. In primo luogo i contratti a termine, che erano stati fortemente limitati dalla legge Fornero, tornano a essere estesi. Le aziende potranno stipularne fino a otto di seguito nell’arco di tre anni, senza dover specificare la causale. Anche i contratti di apprendistato saranno sottoposti a regole meno rigide che in passato. Susanna Camusso ha fortemente criticato queste modifiche, affermando che si tratterebbe di un incentivo al precariato. Per Sergio Cofferati, ex segretario della Cgil, «pensare di rilanciare l’occupazione estendendo i contratti a tempo determinato è un errore. Ciò che occorre è rilanciare la domanda interna con investimenti mirati».



Cofferati, lei condivide le critiche della Camusso a Renzi?

La modifica dei contratti a termine e dei contratti di apprendistato, così come è stata presentata nel decreto legge, rischia di diventare nei fatti sostitutiva di ogni forma di contratto a tempo indeterminato. I contratti a termine sono privati della causale, e sono applicati indistintamente a tutti. L’apprendistato viene privato della formazione e dell’obbligo in quota a parte alla conferma. Entrambi potranno diventare contratti che l’azienda utilizzerà a prescindere dalle loro caratteristiche.



Lei è contrario ai contratti a termine?

Il contratto a termine è uno strumento utile purché non abbia le caratteristiche che si stanno prefigurando, inclusa la sua ripetibilità per otto volte nell’arco di tre anni. I timori e le valutazioni del segretario della Cgil, Susanna Camusso, sono dunque del tutto fondate. A ciò si aggiunge una contraddizione di fondo nell’operazione del consiglio dei ministri…

Quale?

Siccome il governo ha detto di voler introdurre nella legge delega sul lavoro anche il contratto unico, quest’ultimo è tale se scompaiono tutti gli altri. Hanno ipotizzato l’introduzione del contratto unico, ma non hanno mai detto di voler cancellare gli altri. Trovo clamorosa la contraddizione tra l’ipotesi del contratto unico e l’esistenza di tutte le altre forme contrattuali, compresa la nuova versione di contratto a termine e apprendistato.



Quale impatto può avere sull’occupazione l’estensione del contratto a termine?

Il nuovo lavoro non si crea rendendo l’assunzione più flessibile o meno onerosa per le imprese, ma facendo sì che queste ultime abbiano del lavoro da fare. È sui consumi che bisogna agire, perché se questi aumentano stimolano l’esigenza delle aziende a produrre. La gran parte del sistema produttivo italiano è orientata a soddisfare la domanda interna, mentre le aziende che esportano sono la parte minoritaria. La domanda interna è crollata per il venir meno dei consumi delle famiglie. Non è rendendo meno costoso il contratto a termine, o estendendone illimitatamente l’applicazione che si crea nuova occupazione. Ciò che occorre sono investimenti in grado di creare competitività per il sistema produttivo, ripristinando un livello adeguato di consumi.

 

Per Matteo Renzi, serve una nuova politica del lavoro in Europa. È d’accordo con lui?

Il problema dell’Europa è la mancanza della crescita. La lunga crisi è stata accentuata dalle politiche di rigore. L’idea che il contenimento della spesa producesse automaticamente crescita, si è rivelata una solenne bugia. Per avere la crescita bisogna ritornare a delle politiche keynesiane d’investimento rivolte ai settori che determinano un aumento della capacità competitiva delle imprese, come le infrastrutture e l’innovazione della ricerca. Occorre abbandonare rapidamente la strada sbagliata del rigore e pur controllando la spesa imboccare quella della crescita attraverso politiche d’investimento mirate. Gli stessi Stati Uniti per esempio hanno coniugato una riduzione della spesa ma non con tagli lineari a robusti investimenti per ripristinare la manifattura.

 

(Pietro Vernizzi)

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