Introdurre il contratto unico non varrebbe a semplificare il mercato del lavoro, ma a complicarlo più di quanto lo è. Perché questa forma contrattuale si aggiungerebbe alle altre, di cui le imprese non possono fare a meno. Ad esempio, i flussi di monitoraggio permanente delle politiche del lavoro, pubblicati dal ministero del Lavoro nel quaderno del 1° gennaio 2014, dimostrano che il contratto a tempo determinato è diventato il principale strumento di assunzione: le imprese tra il 2012 e il 2013 lo hanno utilizzato nel 69% dei casi.



E cosi, per avere un esempio di cosa fare, può essere utile guardare agli anni del miracolo economico, quando il mercato del lavoro è cresciuto in maniera esponenziale. Il “miracolo” è avvenuto per due ragioni. La prima è che c’è stato un popolo pieno di energia, con un tasso di natalità di circa il 22% contro quello del 9% registrato nel 2012, pronto ad aiutarsi vicendevolmente nel segno della solidarietà. La seconda e più importante è che lo Stato ha creato domanda di lavoro senza entrare a gamba tesa nel mercato e quindi senza comprimerlo tra le tenaglie della legge. Come dimostra la Costituzione del 1948, che è espressione di libertà, a partire da quella di iniziativa economica del privato.



Per avere un esempio di cosa non fare, bisogna invece guardare a ciò che è accaduto dagli anni ‘90, quando lo Stato ha iniziato a mettere mano al mercato del lavoro per assicurare tutela ai lavoratori non protetti dallo Statuto del 1970, non ha più smesso e ha finito per imbrigliarlo nella rete della legge. Da qui, in quindici anni, quattro leggi sul lavoro contro l’unica, lo Statuto, che era rimasta in vigore per più di trenta: la legge Treu del 1997, la riforma Biagi del 2003, la riforma Fornero del 2012, il pacchetto Giovannini del 2013.

Quale allora la possibile soluzione? Sicuramente, una a metà strada: affidare allo Stato il compito di disegnare “a matita leggera” una cornice, a imprenditori e rappresentanze sindacali elette dai lavoratori quello di definire entro questa cornice le strategie per la crescita.



Un esempio di cornice potrebbe essere: riduzione del cuneo fiscale e semplificazione dei contratti esistenti, a partire dall’apprendistato che stenta a decollare per limiti legislativi da cui è frenato. Un esempio di strategia quella tracciata dall’Unione degli Industriali di Pordenone in occasione della crisi di Electrolux.

Si tratterebbe, in fondo, di credere nelle persone che operano dal basso e dunque nella contrattazione di secondo livello per abbattere le barriere del mercato del lavoro. Come ci credeva Marco Biagi, di cui a breve ricorre l’anniversario della morte.

Non bisogna aver paura. Perché la nostra è gente che, a distanza di più di cinquant’anni dal miracolo economico, ha tutte le carte in regola per sorprendere ancora.

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