“Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo” è probabilmente una delle frasi di Totò più famose in assoluto. Il Principe De Curtis l’ha ripetuta almeno in una decina di film. Viene proposta, tuttavia, per la prima volta, in Totò a colori del 1952, durante lo storico sketch del vagone letto, quando si trova a fronteggiare l’onorevole Cosimo Trombetta. È utile precisare che non è di questo Cuneo, ridente cittadina italiana di 55.627 abitanti e capoluogo dell’omonima provincia in Piemonte, che ormai da molti mesi la politica discute individuando nella sua riduzione la soluzione magica a tutti i nostri mali.
Uno studio Isfol pubblicato un paio di giorni fa ci ricorda, inoltre, che, probabilmente, non sta solo qui il problema della mancata crescita del nostro Paese e che non sono 80 euro (in media) in più in busta paga la soluzione per tutti i mali. Manca, infatti, una capacità di attrattività di capitale umano e finanziario del sistema-Paese e, talvolta, anche di trattenere quello “Made in Italy”.
Si pensi, infatti,come sottolinea Isfol nello studio citato, che i dottori di ricerca italiani che decidono di andare all’estero guadagnano, in media, il 50% in più di quanto otterrebbero rimanendo in patria. Emerge, in questa prospettiva, che chi sceglie di lasciare l’Italia guadagna circa 10.000 euro in più (poco oltre i 29.000 euro), rispetto a chi è rimasto nel nostro Paese (19.180 euro). Un maggior guadagno si conferma, inoltre, anche per coloro che affrontano percorsi di mobilità (sebbene più ridotta) sul territorio nazionale: in quest’ipotesi il reddito medio supera i 20.000 euro.
Significativi anche i dati che indicano la coerenza del lavoro svolto rispetto agli studi fatti. L’82,8% dei ph.d. afferma di avere un lavoro attinente al proprio dottorato e circa l’88% dichiara di essere soddisfatto. Anche per questi aspetti di natura meramente percettiva si rilevano, tuttavia, valori superiori per coloro che si sono trasferiti all’estero: in questo caso la soddisfazione professionale arriva addirittura al 97%.
In Europa 2020, il documento chiave per indirizzare la politica di sviluppo continentale nei prossimi anni, gli stati membri si impegnano ad aumentare gli investimenti, pubblici e privati, in ricerca e sviluppo e innovazione fino al 3% del Pil. Quanto ci descrive Isfol sembra evidenziare come, almeno per il nostro Paese, tali obiettivi sembrino estremamente lontani. Tuttavia da qui deve necessariamente passare il rilancio del Paese puntando con maggiore convinzione su ricerca, sviluppo e internazionalizzazione. Senza di questo l’Italia non potrà infatti, con o senza cuneo, tornare a essere una start-up di successo.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com