Primo maggio, festa del lavoro. Ma di un lavoro che di questi tempi è un vero e proprio dramma sociale. Proprio ieri l’Istat ce ne ha ricordato la portata: il numero di disoccupati è pari a 3 milioni 248 mila, e il tasso di disoccupazione è del 12,7%. Per quanto riguarda la fascia 15-24, i giovani disoccupati sono 683 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,4%. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,7%. IlSussidiario.net ha raggiunto il Segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni, per sentire la sua voce sui temi e problemi del lavoro di oggi.



Segretario Bonanni, ricorre oggi la festa del primo maggio, ma simultaneamente l’Istituto di Statistica Nazionale ci ricorda il dramma del lavoro e della disoccupazione…

Il primo maggio rappresenta una ricorrenza storica, per tutto il mondo, che si è sempre festeggiata, a parte durante i periodi di dittatura. E comunque il primo maggio è anche un momento di speranza, un momento che il mondo del lavoro festeggia anche per onorarne l’anniversario.



Vien da chiedersi tuttavia, pensando ai dati Istat, come mai in Spagna con la recente riforma del lavoro il trend della disoccupazione si è invertito con decisione e continuità, e come mai da noi non si riesce a fare nulla, non si riesce a ripartire…

I posti di lavoro non si ottengono dalle norme sul lavoro, l’occupazione si ottiene dagli investimenti, dagli investitori italiani e stranieri. Questo avviene quando le condizioni del Paese sono favorevoli. Ci sono anche questioni legate alla regolazione del lavoro ma sono solo una parte, al primo posto ci sono senz’altro le tasse, poi ci sono i costi dell’energia, poi ci sono le infrastrutture, la Pubblica amministrazione, i servizi, le relazioni industriali… tutti questi fattori insieme condizionano gli investimenti e chiaramente l’occupazione.



E invece come stanno le cose in Italia?

Succede che si susseguono governi che rifanno tutti la stessa operazione mediatica: promettono di far crescere l’occupazione intervenendo sulle regole del lavoro, perché la riforma del governo precedente non è buona. Così facendo l’occupazione non cresce e, inoltre, la situazione peggiora soltanto: l’elemento delle regole ha un’incidenza relativa, scavalca peraltro le parti sociali che della regolazione dovrebbero essere protagoniste, essendo la condizione che le riguarda. La politica, si sa, è impregnata di ideologia e dalla voglia di dimostrare l’indimostrabile. Spero che questa storia finisca, è diventato un gioco molto pericoloso, perché si passa il tempo ad affrontare questioni totalmente futili e non i nodi strutturali dell’economia.

 

A proposito del rapporto governo-parti sociali, questo esecutivo sembra segnare un’inversione di rotta in merito a scelte che prima vedevano la parti quanto meno ascoltate. Si parla della fine dell’epoca della concertazione. Lei cosa ne pensa?

La concertazione, nell’accezione italiana, non si pratica da diverso tempo, non è certamente quello che si è visto negli ultimi anni. Io stesso non sono interessato alla concertazione che oramai la stragrande maggioranza delle persone intende, cioè la concertazione come momento di incontro con le parti sociali in cui o queste annuiscono o fanno opposizione per denigrare le politiche del governo. Questa non è la concertazione, questa è una falsa interpretazione della concertazione. La concertazione è una pratica che mette insieme le volontà di tutti, che pur di risolvere un problema rinunciano a qualcosa per il bene comune.

 

Quali sono i motivi per cui questo non avviene?

Troppi governi hanno voluto fare da sè, si sono ritenuti autosufficienti e alcune parti sociali ritengono di partecipare alla discussione solo per fare politica, o per denigrare, o per cavalcare protagonismi. La concertazione è un’altra cosa, non mi pare che nel corso dell’ultimo ventennio ci sia stata concertazione. Questa – decidendo cosa fare e perché – è silente, trova accordi, è un qualcosa che risolve problemi e definisce modalità di intervento. I media hanno contribuito molto a distorcerne il significato pur di coprire le manchevolezze e le responsabilità dei governi, ma anche di alcune parti sociali che non hanno mai voluto prendersi le loro responsabilità, animate come sono dal corporativismo e dall’ideologia, o da intenzioni di carattere politico.

 

Come le sembrano i rapporti con il governo Renzi?

A parte che non ho mai parlato con tanti ministri come ultimamente, ma Renzi ripete che lui non concerta. In realtà, fa il furbo, pur di coprire i guai e i litigi che ha in casa sua, con la Cgil in particolare: siccome non può litigare solo con la Cgil, perché il suo popolo si ribellerebbe, allora fa finta, porta avanti una politica di contrarietà a tutte le parti sociali. Così non esce la solita storia di alcune parti sociali disponibili ad agire responsabilmente e altre no. Renzi fa il furbo, come del resto hanno fatto i furbi anche gli altri governi che si sono succeduti.

 

Lei cosa auspicherebbe?

Con tutti i guai che ha questo Paese, bisogna fare coalizioni forti tra politica, istituzioni e parti sociali. Tutti i fattori di cui parlavo prima (il lavoro, le tasse, l’energia, le infrastrutture, i servizi, ecc.) sono rovinati, sono mal gestiti, sono deviati… questo non è accaduto solo per incuria, ma anche perché ci sono interessi della rendita italiana che sono molto potenti. Renzi vorrei mi spiegasse come intende fronteggiare questa rendita, con i proclami? Con le scene teatrali clamorose? O con un lavoro costante che mette insieme appunto un blocco molto forte di realtà operose e di vigilanza per arginare situazioni di controllo dei fattori chiave dello sviluppo da parte della rendita?

 

Lei cosa prevede?

Voglio proprio vedere… ma temo che si andrà ai soliti proclami che hanno ritmato la vita della cosiddetta seconda repubblica, cioè il nulla assommato al nulla.

 

A proposito di investitori, l’unica azienda che in Italia in questi ultimi anni ha investito seriamente è la Fiat. Siamo a ridosso della presentazione del piano industriale 2014-2017 di Fiat-Chrysler, lei crede che questa nuova era possa creare benefici per la produzione e quindi per l’occupazione in Italia?

Intanto alle cassandre ricorderei gli investimenti che Fiat ha fatto sugli stabilimenti di Pomigliano, Val di Sangro, Melfi, Mirafiori e Grugliasco. Stiamo parlando di un’azienda che in questi anni ha investito come nessun’altra in Italia. Ritengo molto grave che questa cosa sia sfuggita ai commentatori politici e ai media italiani, considerando la situazione che abbiamo di fronte. Non mi pare che ci sia qualcuno che abbia voluto riconoscere che tutte le cassandre e tutti i denigratori lo facevano solamente per disturbare un’azione che qualcuno – a partire dal mio sindacato – stava pazientemente gestendo. A distanza di tempo possiamo chiederci: quale altra azienda italiana o straniera ha investito in Italia con questa sequenza, con questa trasparenza e con questa intensità?

 

(Giuseppe Sabella)

 

In collaborazione con www.think-in.it

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