Il primo maggio anche l’Italia ha dato il via libera alla “Garanzia Giovani”. Un unico programma europeo che si rivolge a tutti i giovani perché entro quattro mesi dalla conclusione dei percorsi formativi o scolastici abbiano un’occasione lavorativa, almeno come tirocinio. Questo impegno eccezionale lo si è deciso per contribuire ad abbattere la disoccupazione giovanile che è estesa in tutti i paesi europei e da noi in modo particolare. Una specifica attenzione viene posta verso quei giovani che risultano “assenti”, perché non studiano, né risultano lavoratori, con uno spreco di risorse umane che diventa, nelle zone economicamente più arretrate, il principale problema sociale.



Se volevamo una prova evidente che il sistema istituzionale che regola il mercato del lavoro non funziona, oggi ne abbiamo una. Il programma europeo per tutti i giovani in Italia diviene 21 programmi regionali. L’avvio doveva essere all’inizio dell’anno, ma si è rinviato a maggio, così si sarebbe avuto tempo per tutti per arrivare nelle migliori condizioni. Solo una minoranza delle regioni si è allineata col primo maggio, le altre arriveranno nei prossimi mesi. Il governo ha fissato gli obiettivi minimi e ha tenuto per sé compiti di monitoraggio. Solo in modo sussidiario l’agenzia Italia Lavoro interverrà in quelle regioni dove non si riuscirà a far decollare il programma.



Il ritardo delle regioni non ha motivi geografici, né di legislazione particolare. È solo l’ennesima evidenza di come non si è in grado di svolgere un progetto nazionale che assicuri a tutti i giovani la stessa tutela su tutto il territorio. Anche fra le regioni già attrezzate i servizi saranno assicurati in modo difforme. Alcune coinvolgeranno solo i servizi pubblici per il lavoro, altre coinvolgeranno anche le agenzie private; alcuni useranno i fondi per inutili brevi corsi di formazione professionale, altre hanno creato programmi perfetti (vere grida manzoniane) ma non hanno la strumentazione (accreditamento, costi standard, ecc.) per attuarli; c’è anche chi ha pensato perfino di accreditare le imprese, come se toccasse al pubblico decidere chi ha la possibilità di occupare giovani nella propria impresa.



È evidente che se non si sarà in grado di intervenire in corso d’opera avremo l’ennesimo fallimento, dovuto in questo caso a un sistema istituzionale che non permette di essere collaborativi su un progetto unico per tutto il Paese. È palese che la situazione economica è molto diversificata nelle diverse aree geografiche e che quindi è indispensabile un intervento di sostegno economico e di politica industriale che accompagni e rafforzi il programma Garanzia Giovani nel mezzogiorno. Ma così come si è partiti non si assicureranno le medesime tutele nemmeno nelle regioni più economicamente avanzate.

Un ventenne di Piacenza dovrà recarsi obbligatoriamente al Centro per l’impiego pubblico e poi attendere che si formi una rete di collaborazioni (forse anche con agenzie private) che si occupi di trovargli un inserimento lavorativo. Se ha una fidanzata pavese (li divide solo il ponte sul Po), lei, quando la Regione Lombardia si ricorderà che ha già un sistema di servizi con dote unica che può gestire tutti i servizi al lavoro per qualunque target, potrà entrare a sua scelta in qualunque agenzia pubblica o privata e programmare un percorso di inserimento.

L’occasione della Garanzia Giovani può essere la prova generale per un nuovo sistema di servizi al lavoro coordinati da un’agenzia unica nazionale capace di programmare l’uso di politiche attive e politiche passive per un mercato del lavoro più efficiente. Mi auguro che dopo il monitoraggio del primo quadrimestre il ministro abbia il coraggio di intervenire richiamando tutti gli attori a dare piena attuazione al programma, obbligandoli ad assicurare a tutti i giovani le stesse opportunità. Sarebbe l’avvio di una riforma vera per un mercato del lavoro capace di essere efficiente a sostegno di una nuova fase di crescita economica.