A gennaio la Commissione europea ha approvato il Piano di attuazione presentato dal governo italiano e, dopo tre mesi di rallentamenti, il primo maggio ha preso il via ufficialmente la “Garanzia Giovani”. L’urgenza di questo piano è sotto gli occhi di tutti. L’Italia è ormai membro fisso della top three dei paesi con la più alta disoccupazione giovanile dietro a Spagna e Grecia. Basti pensare che dall’aprile del 2013, quando è stata approvata la Raccomandazione europea che istituiva il Piano, la disoccupazione giovanile è aumentata di quasi sette percentuali raggiungendo il 42,7%. I dati Istat dicono che a marzo c’erano circa 680 mila giovani disoccupati, l’1,3% in più rispetto al mese precedente. Gli inattivi invece era circa 4 milioni 400 mila. Possiamo quindi ritenerci soddisfatti per l’attivazione del Piano? Non proprio, anzi no.
Al momento solo sette regioni italiane hanno firmato i piani d’attuazione della Garanzia Giovani di concerto con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Considerando che saranno proprio le Regioni le braccia operative del piano, siamo ancora in alto mare. Quello che abbiamo è il portale www.garanziagiovani.gov.it, costato, secondo fonti ministeriali circa 1 milione di euro. Questo portale è al momento una scatola vuota. Dopo una lunga procedura di iscrizione, infatti, si viene reindirizzati al portale di Clic lavoro. La causa è la mancanza dei suddetti piani regionali.
Alla denuncia di questa situazione, fatta da Adapt in un suo Working Paper del 2 maggio, le regioni hanno risposto dicendo che i piani sono predisposti. Questo non basta, devono essere trasformati in accordi e siglati da entrambe le parti. Ricordiamo che si tratta di circa 1 miliardo e 700 milioni messi sul piatto dall’Europa per affrontare la piaga della disoccupazione giovanile. Nel momento difficile che stanno affrontando le finanze pubbliche italiane questi fondi dovrebbero essere letti come una vera e propria manna dal cielo.
Oltre a questo la Garanzia Giovani è un’importante occasione per rinnovare le politiche attive del lavoro in Italia e per modernizzare il mercato del lavoro. L’analisi della Raccomandazione del Consiglio mette infatti in luce due macro-temi: lo sviluppo di percorsi di apprendistato e tirocinio di qualità e lo sviluppo dell’autoimprenditorialità.
Difficile considerare queste due scelte come meramente economico-tecniche e non scorgere dietro a esse una precisa visione del lavoro, così come si sta delineando in un paradigma che è ormai pienamente post-fordista, se non addirittura un passo oltre non ancora teorizzato (Hegel diceva che le epoche possono essere concettualizzate solo dopo la loro conclusione). Inoltre, l’indicazione di utilizzare i fondi attraverso il rapporto complementare tra Servizi pubblici per l’impiego e Agenzie per il lavoro, va nella direzione di un sistema di politiche attive europeo e moderno.
Possiamo solo augurarci di non perdere questo treno, visto che, distratti da provvedimenti secondari, siamo giunti all’ultima fermata.