Agire, reagire, decidere. È questo lo slogan che le istituzioni europee hanno scelto per lanciare la propria campagna di comunicazione in vista delle elezioni del Parlamento europeo previste per domenica prossima, il 25 maggio 2014. Queste elezioni sono ritenute per molti aspetti storiche. Il nuovo Parlamento, composto da 751 deputati in rappresentanza di oltre 500 milioni di persone che vivono nei 28 Stati membri, sarà chiamato, infatti, in base alle novità introdotte con i Trattati di Lisbona, a eleggere la nuova guida della Commissione europea. Tuttavia, difficilmente, potremmo conoscere la sera stessa chi tra i due principali contendenti, il popolare Juncker e il socialista (e tedesco) Schulz, diverrà il nuovo presidente del “Governo” dell’Europa.



Si deve sottolineare, inoltre, come, almeno nel nostro Paese, durante questa lunga e non semplice campagna elettorale abbiano prevalso, come da tradizione, i temi domestici sulle prospettive comunitarie e sulla progettualità dell’Europa dei prossimi anni. Non è mancato, tuttavia, un dibattito europeo sulle sfide che come cittadini europei siamo e saremo chiamati a giocare nei prossimi anni.



In questa prospettiva si è mossa, ad esempio, l’Etuc, la confederazione europea dei sindacati (tra cui Cgil, Cisl e Uil), che ha lanciato, all’inizio dell’anno, un proprio manifesto che pone alcune questioni centrali per il nuovo Parlamento e per la nuova Commissione. I sindacati chiedono, infatti, di promuovere un’Europa diversa, più sociale, che punti a garantire ai suoi cittadini, prima di tutto, occupazione di qualità e un futuro sicuro. Questo significa, quindi, la fine dell’austerità “tedesca” degli ultimi anni e rimettere la solidarietà al centro delle politiche europee.



Per fare questo si ritiene necessaria una nuova politica industriale basata su innovazione, ricerca e sviluppo, istruzione, formazione, salute e una riconversione più giusta ed equa anche grazie a un piano di investimenti ambizioso che operi per il rilancio dell’economia europea (e quindi dell’occupazione). A tal fine le trade unions chiedono al futuro Parlamento di non indebolire i pilastri del modello sociale europeo, fatto di buone relazioni industriali, servizi pubblici di qualità e tutela sociale inclusiva, ma altresì di ripartire da questo.

Dal 26 maggio vedremo, quindi, se, e come, le nuove istituzioni comunitarie emerse dopo il voto sapranno rispondere a questi stimoli che le organizzazioni dei lavoratori hanno posto nel dibattito pubblico. Questioni sulle quali, è opportuno sottolineare, dovranno dare risposte concrete, sebbene a un diverso livello, anche i diversi governi nazionali, tra cui quello italiano guidato dal “socialista europeo” Matteo Renzi. La legge delega di riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, che ha iniziato il suo percorso parlamentare può certamente rappresentare in quest’ottica un’occasione importante per costruire un’Italia più europea e più sociale. Sarà la (s)volta buona?

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com