Il “Decreto Poletti” su contratto a termine e apprendistato è stato convertito in Legge e già si comincia a parlare di come modernizzare ulteriormente le regole del mercato del lavoro nella logica della flexicurity. È di questi giorni, infatti, la presentazione da parte di Confindustria al Governo di un documento articolato sulla modernizzazione delle regole del lavoro volto a rendere certo il panorama legislativo esistente. Il pilastro lungo cui si muove il documento è rappresentato dal contratto a tempo indeterminato: figura quest’ultima centrale non solo a livello italiano, ma anche nell’ambito dell’Unione europea che, non a caso, lo definisce come la forma comune di rapporto di lavoro.



La proposta vuole rendere il contratto a tempo indeterminato più flessibile, limitando la reintegra ai soli casi di licenziamento discriminatorio e nullo. Il documento, inoltre, vuole rendere il rapporto più flessibile da un punto di vista gestionale, consentendo mutamenti di mansioni più facili rinviando alla contrattazione collettiva il compito di stabilire il concetto di equivalenza di mansioni. La proposta, poi, intende rivedere anche il sistema degli ammortizzatori sociali superando la “deroga” e incentivando l’uso di contratti di solidarietà espansiva. Il documento, ancora, ribadisce l’importanza della Garanzia dei Giovani con l’impegno di Confindustria a collaborare fattivamente al progetto anche attraverso l’ausilio dei fondi interprofessionali. Infine, si vuole evitare che l’innalzamento dell’età pensionabile blocchi le assunzioni dei giovani proponendo percorsi di avvicinamento alla pensione con costi ripartiti tra impresa e lavoratore.



Le soluzioni individuate vanno nella giusta direzione. Le nostre imprese, infatti, hanno bisogno di flessibilità non solo nella fase di uscita dal mondo del lavoro, ma soprattutto nel corso del rapporto di lavoro, ossia nella sua fase gestionale. In questo senso, deve essere salutata con favore la soluzione che vuole attribuire alla contrattazione collettiva il compito di determinare l’equivalenza di mansioni, anziché lasciare questo compito alla Magistratura con evidenti problemi interpretativi, dubbi e contrasti che di certo non agevolano le nostre imprese. Ma allora perché non pensare anche a forme incisive di flessibilità durante il rapporto di lavoro se è questo che chiedono e vogliono le aziende? La soluzione c’è e la si trova proprio partendo dal concetto di flexicurity citato da Confindustria.



In questo senso, si potrebbe pensare all’introduzione di una clausola di flessicurezza. Attraverso questa clausola il lavoratore, al momento della stipula del contratto, consente che il datore di lavoro possa modificare unilateralmente alcune parti del contratto di lavoro, a fronte di specifiche esigenze organizzative, produttive, tecniche o sostitutive che si presentano in un dato e momentaneo periodo storico. In cambio di questa “flessibilità” il lavoratore verrebbe assunto a tempo indeterminato. In altri termini, i lavoratori sarebbero assunti con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma attraverso la clausola di flessicurezza sarebbero consentite temporanee modifiche del rapporto di lavoro al fine di far fronte a specifiche e documentate esigenze aziendali (produttive, organizzative, ecc.). Uno scambio perfetto, quindi, tra la flessibilità e la sicurezza del posto di lavoro tanto invocata dal sindacato.

In questo senso, il datore di lavoro potrebbe ridurre la prestazione lavorativa passando da full-time in part-time (orizzontale, verticale o misto) ovvero aumentare la richiesta di prestazioni lavorative nei limiti previsti dalla legge 66/03. Al datore di lavoro, poi, sarebbe consentito modificare le mansioni del lavoratore. Tali modifiche potrebbero avvenire anche in deroga all’art. 2103 c.c. e solo per periodi di tempo limitati. Sempre seguendo l’ordine di idee di Confindustria, sarebbe senz’altro utile al mondo delle imprese poter utilizzare manodopera extracomunitaria specializzata in maniera flessibile e sburocratizzata.

Quale strumento alternativo e parallelo alle normali procedure di ingresso nel territorio dello Stato di manodopera specializzata e altamente qualificata, infatti, si potrebbe pensare alla costituzione di un albo nel quale saranno iscritti specifici enti (tra cui ad esempio anche le Agenzie per il lavoro autorizzate dal ministero del Lavoro ovvero anche Enti accreditati dalle Regioni), quali garanti per l’ingresso e la successiva collocazione dei lavoratori extracomunitari presso proprie aziende private o enti anche pubblici. L’ente accreditato si fa da garante, in altri termini, dell’ingresso e della successiva ricerca e collocazione dei lavoratori extracomunitari. Tutto ciò al fine di una migliore governabilità del flusso di extracomunitari, una risposta immediata agli imprenditori che cercano specifici profili professionali oltre a una semplificazione amministrativa e risparmio di oneri a carico dello Stato.

Da ultimo, potrebbe essere opportuno ripensare al cosiddetto patto generazionale il cui utilizzo potrebbe consentire nuovi spazi e aperture per i giovani nel mondo del lavoro. È indispensabile, quindi, che il Governo pensi a una riforma del mondo del lavoro complessiva che elimini le rigidità esistenti e riveda, nel complesso, anche il sistema degli ammortizzatori sociali. Su quest’ultimo punto l’esecutivo ha dimostrato aperture. Vedremo se dalle promesse si passerà ai fatti. A oggi tale riforma non pare più differibile. È necessario, infatti, rivedere l’attuale sistema di sostegno del reddito così come le politiche sulla formazione continua dei lavoratori in modo da consentire, “flessibilmente”, il passaggio da un lavoro a un altro. In questo modo si genera un meccanismo che aumenta le possibilità di occupazione, incrementandola. Proprio come avviene negli altri paesi europei.