Va detto subito, per sgomberare il campo da equivoci, che per dirigenza si deve intendere chiunque gestisca sfere di autonomia e ambiti strategici per l’ente pubblico e non solo chi ha un inquadramento formale. Il punto di partenza è una dirigenza pubblica più autonoma, più responsabilizzata e valorizzata. Questo è sicuramente il modo più semplice per portare innovazione e cambiamento nella Pa e per valorizzare i talenti e le specificità territoriali e organizzative dei vari enti pubblici.
Tuttavia, per raggiungere quest’obiettivo di valorizzazione bisogna ragionare seriamente sulle caratteristiche che si richiedono al dirigente pubblico. La riflessione parte innanzitutto da come questi dirigenti sono selezionati e incentivati a lavorare correttamente. Le selezioni dovranno superare l’ormai obsoleto sistema dei concorsi pubblici basati su nozionismo per arrivare a forme moderne di procedure a evidenza pubblica che valutino le competenze e le esperienze sostanziali utili a ricoprire il ruolo. L’incentivo per i dirigenti al risparmio del denaro pubblico, all’evoluzione organizzativa, all’efficienza e alla qualità delle azioni dovrà essere programmato con cura e dovrà rivoluzionare la cultura attuale che vede nel “fare le nozze con i fichi secchi” la massima imperante. Vediamo però come, al momento, la classe dirigenziale pubblica non sia del tutto pronta alla sfida della valorizzazione e si dovrà rendere necessario un certo turnover, in alcuni casi agevolato dall’elevata anzianità dei dirigenti pubblici.
Il punto di partenza per un’evoluzione della dirigenza è sicuramente l’ormai trito e ritrito “lavoro per obiettivi”. Questa espressione, che si distacca dalla cultura dell’atto formale, è stata più volta richiamata e incentivata da vari decreti e circolari, ma stenta a decollare per evidenti incongruenze di sistema, ma anche per l’inadeguatezza di parte della classe dirigente. Quali sono allora i punti indispensabili per una nuova dirigenza?
Uno dei punti salienti è la capacità di gestire il rischio. La forte complessità organizzativa, legislativa e di contesto delle pubbliche amministrazioni impongono, per raggiungere gli obiettivi, una managerialità che racchiuda grande leadership e autorevolezza e la capacità di saper tollerare, prevedere e gestire rischi di vario tipo. Una cultura legal/burocratica interiorizzata impedisce l’azione, mentre una leadership con gestione del rischio permette il raggiungimento degli obiettivi e “trascina” i collaboratori in un nuovo stile di servizio. Questa capacità di gestione del rischio si deve basare su solidi fondamentali professionali che possiamo sintetizzare nelle seguenti voci: cultura evoluta delle risorse umane, capacità di comunicazione, etica del lavoro, conoscenza del settore di riferimento (ambiente, politiche sociali, energia, ecc.), flessibilità, strategia e umiltà.
Un altro punto fondamentale è l’ascolto del “cittadino/cliente”. Le problematiche non potranno essere gestite con una ”alzata di spalle” o con il rimando all’impossibilità di superare i vincoli burocratici, ma il primo obiettivo sarà proprio di trovare soluzioni fattive. Non si tratta di un’opzione, ma di un dovere professionale e civico del dirigente pubblico. Altri due punti irrinunciabili per una nuova dirigenza saranno l’attitudine alla mobilità geografica, funzionale, internazionale e a occuparsi di nuovi progetti e missioni. Infine, dovrà essere ben presente ai nuovi dirigenti la consapevolezza di non avere un posto di lavoro “per la vita”, ma di dotarsi di una professionalità spendibile sul mercato sia pubblico che privato.
Come fare allora per essere all’altezza di queste sfide professionali? Uno dei “capitoli” più importanti è la scelta dei collaboratori. Questa dovrà basarsi sull’attrazione dei talenti migliori, sulla capacità di delega e sullo sviluppo della proattività. L’azione del manager e la scelta dei collaboratori dovranno basarsi sull’eccellenza e sul merito. Una radicale innovazione rispetto alla cultura attuale del “meno peggio” e della correttezza formale degli atti.
Un altro “capitolo” fondamentale è la formazione continua. I dati suggeriscono che i manager pubblici attualmente smettono di studiare dopo aver vinto il primo concorso pubblico. In un contesto in continuo cambiamento questo è inaccettabile. La formazione continua si alimenta non solo da corsi o formazione più o meno certificati, ma dalla partecipazione a network professionali pubblico/privati e dall’aggiornamento tramite la valutazione e i tentativi di introduzione delle best practices italiane e internazionali.
Il contesto professionale e sociale fornisce continui elementi per capire il proprio posizionamento e feedback continui sulla propria managerialità e sull’adeguatezza del proprio lavoro e della propria organizzazione (utilizziamo ancora le marche da bollo, il fax o parliamo di ufficio economato…). Rifugiarsi nell’autoreferenzialità, nella pretesa superiorità o in un rifiuto del contatto sono le vie più brevi per la cattiva performance e per l’insuccesso lavorativo.