Il decreto lavoro Poletti-Renzi, che rappresenta un caposaldo del più corposo Jobs Act, è stato approvato ieri dal Senato. Esaminiamo il testo. Le modifiche apportate in commissione Lavoro a Palazzo Madama recepiscono complessivamente il testo presentato nel primo passaggio alla Camera, anche se non mancano significative novità. Innanzitutto, è stata confermata una durata di 36 mesi e l’acausalità per tutti i contratti a termine, siano anch’essi stipulati nell’ambito dei contratti di somministrazione. L’istituto della proroga resta nei limiti di 5 volte nell’arco dei 36 mesi, rispetto agli 8 inizialmente previsti dal testo governativo. Viene meglio precisata la modalità di comunicazione del diritto di precedenza dei lavoratori a termine nelle assunzioni a tempo indeterminato che dovrà avvenire nel contratto di assunzione stesso.
Inoltre, è stato mantenuto il limite legale del 20% di utilizzo dei rapporti a tempo determinato calcolato sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. La violazione di tale previsione, tuttavia, non prevede più l’obbligo del datore di lavoro di assumere il lavoratore a tempo indeterminato. Nel testo approvato dal Senato, infatti, si stabilisce una sanzione amministrativa in caso di superamento del predetto limite percentuale. Le disposizioni transitorie, ancora, prevedono che i datori di lavoro che non hanno percentuali di riferimento nel Ccnl applicato, ma che hanno in corso rapporti di lavoro a termine in percentuale superiore al 20%, sono tenuti a rientrare nella percentuale legale del 20% entro il 31 dicembre 2014: In caso contrario, non potranno accedere a nuovi contratti a tempo determinato fino al momento in cui saranno rientrati nei limiti di percentuale.
Quanto all’apprendistato, è tornata la quota rigida degli apprendisti da “stabilizzare”, però nelle sole aziende con oltre 50 dipendenti (prima il limite era fissato in 30 lavoratori), le quali avranno l’obbligo di assumere in misura non inferiore al 20% degli apprendisti in carico. Vengono dunque definitivamente abbattuti i rigidi limiti imposti dalla riforma Fornero che disponeva per i primi tre anni di vigenza la stabilizzazione del 30% degli apprendisti da parte delle aziende e poi almeno il 50%. Inoltre, il Senato, in tema di formazione pubblica, precisa che la Regione dovrà comunicare al datore di lavoro le modalità di svolgimento dell’offerta formativa anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività, anche avvalendosi delle imprese delle associazioni che si dichiarano a ciò disponibili.
Ovviamente, per valutare l’effettiva portata innovativa dell’ennesima legge sul mercato del lavoro, è necessario che le intenzioni del Legislatore attraversino la prova sul campo al fine di verificarne la tenuta. A questo punto, possono già porsi i primi dubbi interpretativi in ordine all’applicazione delle disposizioni normative appena accennate da parte delle aziende.
In che termini infatti è possibile stipulare contratti a termine acausali in quei settori produttivi in cui la contrattazione collettiva prevede espressamente la necessaria indicazione della causale di utilizzo ai fini della genuinità del contratto stesso? Non emergono chiarimenti neppure in ordine al rispetto del tetto legale del 20% da parte di imprese che adottino contratti collettivi contenenti una misura percentuale diversa. Ad esempio, nei settori come il turismo, dove il limite si avvicina al 50%, il limite dell’attuale novella legislativa potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo a creare occupazione. Per altro verso, laddove la contrattazione collettiva vada a regolamentare le percentuali in misura minore rispetto al dettato legislativo si assisterebbe a una sovrapposizione di norme sulla medesima fattispecie che prevedono fra l’altro conseguenze diverse in caso di violazione.
Le medesime argomentazioni possono essere utilizzate per affrontare i dubbi circa le regole di stabilizzazione nell’apprendistato, nei casi in cui vi sia un contrasto con la disciplina contenuta nella maggior parte dei contratti collettivi che deve ritenersi pienamente operativa.
Pertanto, la portata innovativa della legge rischia di affondare in vecchi problemi legati al mancato coordinamento fra le fonti di legge e l’assenza di una produttiva concertazione con le parti sindacali. Le aziende che vorranno applicare il decreto nonostante i vincoli, diversi, contenuti nei principali contratti collettivi, potrebbero quindi ritenersi esposte ai rischi di un nuovo e gravoso contenzioso rendendo inefficaci le misure appena adottate dal Governo per rilanciare l’occupazione.