Da Rimini, la Cgil ha lanciato quattro sfide per aprire una vera vertenza su altrettanti temi che rappresentano i lati del “quadrato rosso” simbolo del sindacato: riformare le pensioni, con l’obiettivo di dare attenzione ai giovani e correggere gli errori sugli esodati; riforma degli ammortizzatori sociali; contrasto al lavoro povero; misure fiscali con al centro la lotta all’evasione. Nella relazione di apertura (6 maggio), Susanna Camusso ha indicato le proposte “che non sono in cima all’agenda politica attuale” e che la Cgil vuole riportare al centro dell’attenzione, “costruendo alleanza, ma soprattutto consenso, iniziativa, mobilitazione in tutti i luoghi di lavoro, in tutti i territori”.



Sono comunque tanti gli spunti che questo Congresso della Cgil, in tutta la sua fase congressuale e non solo in questi giorni, ha regalato al dibattito sul lavoro. Al di là della, ai più, scontata rielezione di Susanna Camusso e della marginalità di Maurizio Landini all’interno della confederazione (non solo nei numeri…), è difficile – nello spazio di un articolo – commentare in modo esaustivo anche solo la “sintesi” finale del confermato Segretario Generale, ma alcuni spunti, e alcuni incisi dello stesso Landini, evidenziano in modo decisivo a quale salto oggi il Sindacato tout court è chiamato.



“Si parla troppo di segretari, serve più collegialità, altro che primarie”. Come darle torto? Ma come si può fare a invertire il trend “ad personam” che – dopo aver ammorbato i partiti – sembra avere contagiato anche il mondo sindacale? La collegialità non la si stabilisce con le regole, è un lavoro quotidiano – anche silente – fatto di capacità di analisi e di ascolto, e di rispetto per gli altri, oltre che di controllo dei personalismi. Negli ultimi tempi, anche grazie a Landini, se ne sono viste di tutti i colori. È stato proprio Landini a regalare un colpo di teatro nel suo attacco a Bonanni, Segretario Generale della Cisl, in visita al Congresso della Cgil: “La Cisl è il sindacato che ha firmato con la Fiat e ha fatto i contratti separati. E viene qui Bonanni a fare la lezione di democrazia a noi e non abbiamo problemi ad applaudirlo? Stiamo scherzando? Mi vengono i capelli dritti”. In queste parole di Landini si esprime la questione sollevata da Camusso: a parte le pesanti provocazioni, il punto è anche che criticare la firma di accordi che hanno derogato al Ccnl (questo è il motivo per cui la Fiom non ha firmato gi accordi con Fiat, leggere il “Forza Lavoro” di Landini per convincersene…) è cosa piuttosto obsoleta.



“La precarietà è oggi grande questione del lavoro”. Bene… ma visto che la precarietà ha investito in modo particolare la fascia giovanile (che del Sindacato rappresenta solo il 10% degli iscritti), cosa hanno intenzione di fare i Sindacati – e non solo la Cgil – su questo punto? Sarebbe interessante capirlo, soprattutto in tempo di “Garanzia Europea”.

“L’alta disoccupazione durerà a lungo”. Ma perché in Spagna, Paese molto più dilaniato dell’Italia da questa crisi, il trend della disoccupazione si è da otto mesi invertito costantemente? Perché in Italia la ripartenza è così flebile? Servono riforme strutturali, ma la Cgil le vuole? E Cisl e Uil? E Confindustria? Tutti dicono che le vogliono, ma perché non le si fa?

“Il paradigma della crescita è se si crea lavoro”. Quindi il paradigma della crescita è l’impresa, visto che è l’impresa a creare lavoro… come dice Squinzi, quindi, “non c’è ripresa senza l’impresa”. Bene, ma anche qui: come mai non si riesce ad abbassare la morsa (fiscale e burocratica) che attanaglia l’impresa?

Per concludere, con la rielezione di Susanna Camusso, anche in virtù delle sue dimensioni, ci si avvia a una fase dove il dialogo sociale e la tanto acclamata unità sindacale possono crescere. Ma un nuovo corso non può prescindere dal guardare al mercato e all’economia in modo diverso. Oggi, in attesa di una politica che si decida a intervenire in modo strutturale, serve quantomeno che dalle Parti sociali arrivino facilitazioni per la contrattazione aziendale e, in particolare, un atteggiamento meno volto alla conservazione di situazioni improduttive: servono più flessibilità in uscita e più politiche attive. Non si possono spendere 25 miliardi l’anno per la cassa integrazione per salvare aziende decotte e sacche di lavoro improduttive. Non sono queste le scelte che fanno bene al lavoro.

 

In collaborazione con www.think-in.it

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