Matteo Renzi e Marianna Madia hanno illustrato lo scorso 30 aprile, con una lunga lettera scritta a quattro mani, le idee dell’esecutivo per una riforma della Pubblica amministrazione adeguata alle sfide dei tempi presenti. In quella missiva il premier evidenziava, dal punto di vista metodologico, che non è possibile “rottamare” la Pa insultando le persone che vi lavorano. Se, infatti, è fatto noto che nel pubblico ci sono (anche) i fannulloni, si sottolineava come meno enfasi è posta sulla presenza di tantissime persone di qualità che non sono mai state coinvolte negli innumerevoli tentativi, tutti miseramente falliti, di riforma. Il progetto governativo, insomma, si basa sulla convinzione che la Pa sia composta, prima di tutto, da persone orgogliose di servire la comunità e che fanno bene il proprio lavoro.



Inoltre, ci ricordava Renzi come il compito di chi governa non sia quello di lamentarsi, ma di cambiare, o almeno provare a farlo, le cose. Per questo l’esecutivo, ci dice la lettera aperta, vuole sfidare, in positivo, le lavoratrici e i lavoratori volenterosi chiedendoli di essere i primi protagonisti della riforma. In questo quadro sono arrivate, all’account e-mail della “rivoluzione” di governo, quasi 40 mila contributi.



Dal confronto avviato con i cittadini è emerso un deciso consenso all’agevolazione del part-time per favorire il rinnovamento generazionale e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, soprattutto per consentire la prestazione di cure ad anziani e disabili ma non solo. Vi è, ad esempio, in questo quadro, una grande richiesta, in particolare da parte delle lavoratrici, di dare un maggior impulso all’istituto del telelavoro e all’estensione nel ricorso al part-time (volontario, ovviamente). Diffuso consenso è stato così registrato sull’ipotesi di procedere a una significativa riduzione dei permessi sindacali, arrivando persino a proporre l’abolizione del distacco sindacale, anche in relazione alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.



Si evidenzia, quindi, una critica generalizzata al blocco del turnover. Tale meccanismo, infatti, non consente un adeguato rinnovamento e la trasmissione di esperienza da parte delle risorse più mature ai neo assunti. Numerose proposte sono state, quindi, avanzate sia per introdurre muovi parametri per il turnover maggiormente legato alla dimensione dell’ente e al numero di beneficiari del servizio che per stimolare modalità di reclutamento sempre più trasparenti.

Una vera e significativa riforma della Pubblica amministrazione passa anche, infatti, se non soprattutto, dalla capacità delle persone che vi lavorano di porsi come facilitatori dell’innovazione e promotori di una vera e propria rigenerazione della macchina dello Stato. Per fare ciò, tuttavia, è necessario che nuove competenze e nuovo capitale umano vengano, progressivamente, inseriti in un corpo anziano e sofferente.

È necessaria, però, perché ciò avvenga, una rivoluzione culturale profonda che renda nuovamente i nostri civil servant orgogliosi di quello che stanno facendo e che il pubblico impiego torni a essere vissuto come una delle colonne portanti della crescita del Paese e non, come è stato ahinoi per troppi anni, un grande ammortizzatore sociale.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com