È ormai convinzione di tutti che non potrà inaugurarsi nel nostro Paese un’era di ripresa economica senza passare per un’indefettibile riforma della Pubblica amministrazione. E lo sa bene anche Matteo Renzi, che della diminuzione della spesa pubblica ha fatto un cavallo di battaglia sin dal suo esordio alla Presidenza del Consiglio.



Ora dovremmo essere al dunque. È infatti di queste ore la presentazione del programma di riforme che il Governo intende realizzare in parte attraverso un decreto legge e in parte attraverso un disegno di legge delega. Si tratta di un provvedimento articolato in molti punti, con interventi che riguardano: la mobilità obbligatoria per i dipendenti della Pa; l’abolizione del trattenimento in servizio (non sarà più possibile restare per altri due anni al proprio posto d’impiego nella Pa se il dipendente ha già maturato il diritto alla pensione); la diminuzione del tetto massimo dei bonus per i dirigenti (dal 20% al 15%), il quale dipenderà anche dall’andamento del Pil; la possibilità di conferire incarichi triennali per i dipendenti pubblici, rinnovabili; la possibilità di ricorrere ai prepensionamenti con assegno di due anni in caso di esuberi; la riduzione dei distacchi e dei permessi sindacali (dimezzati); gli incentivi per il telelavoro e per il co-working; la riduzione, per i prossimi cinque anni, delle spese per ogni amministrazione (non dovrà essere inferiore all’1% della spesa sostenuta nel 2013); l’aumento (dal 10% al 30%) del numero dei dirigenti “fiduciari”, quelli cioè che un ente locale può nominare per specifiche competenze senza un concorso pubblico; la riorganizzazione strategica degli enti, che sta già incontrando le resistenze dei sindacati, i quali minacciano forme di mobilitazione importanti nel caso in cui la riforma in questione dovesse risolversi solo in tagli del personale, dei permessi sindacali e mobilità obbligatoria.



Per quanto riguarda le disposizioni sulla mobilità obbligatoria, il “raggio di spostamento” del dipendente sarà di 50 km, così come avviene già nel settore privato, con la differenza significativa che nel pubblico sarà a norma di legge, mentre nel privato è materia di contrattazione. L’abolizione del trattamento in servizio è un provvedimento particolarmente importante, in quanto almeno “in teoria” dovrebbe aprire possibilità di assunzione per migliaia di giovani. Tutto da vedere nella pratica.

L’introduzione del telelavoro e la sperimentazione di forme di co-working (condivisione degli uffici) e di smart-working (orari elastici e tecnologie digitali) nella Pa è sicuramente interessante per avere come risultato un lavoro maggiormente efficiente e veloce, ma siamo certi che in tal modo il servizio rivolto dalla Pa ai cittadini verrà garantito in modo uguale, soprattutto alle persone anziane (la maggior parte del nostro Paese) che non conoscono e non usano internet e gli strumenti elettronici?



L’aumento del numero dei cosiddetti dirigenti nominati per specifiche competenze extraconcorsi rischia di far aumentare nella Pa la presenza dei cosiddetti “amici degli amici” che magari sono molto bravi ma non hanno le specifiche competenze che solitamente vengono valutate proprio nell’ambito degli appositi concorsi pubblici.

Interessante, in linea di principio, anche la regola dell’inasprimento delle sanzioni, nelle controversie amministrative, a carico dei ricorrenti e degli avvocati per le liti temerarie che dovrebbe servire a limitare il contenzioso amministrativo, ma francamente l’applicazione di questo principio pare alquanto complicata. I vincoli già esistono nel codice – sanzione pecuniaria non inferiore al doppio e non superiore a cinque volte il contributo unificato (articolo 26, comma 2) -, ma attualmente non appaiono in grado di fermare il prodursi di contenzioso “temerario”.

In effetti, al di là della condivisibile impostazione generale volta al contenimento della spesa per il pubblico impiego e alla riorganizzazione dell’amministrazione in un’ottica di trasparenza, semplificazione e celerità dell’azione amministrativa, la bozza di riforma appare ancora troppo imprecisa e vaga circa le modalità concrete di attuazione delle iniziative contemplate. L’applicazione delle norme sui tagli alle retribuzioni nel settore pubblico è sempre stata soggetta a diverse interpretazioni e a contenzioso, tanto più per quelle società che non appartengono alla Pubblica amministrazione in senso stretto; quindi, non si vede come il decreto Renzi possa far risparmiare se poi il rischio effettivo è l’aumento esponenziale del contenzioso stesso.

Peraltro sembrano difettare, nell’impianto complessivo, elementi “costruttivi” che vadano nel senso della semplificazione e dell’efficientamento vero e proprio dell’apparato pubblico, anche attraverso l’introduzione di sistemi responsabilizzanti, meritocratici e premiali.

Un progetto di riforma, insomma, che necessita ancora di molti chiarimenti e approfondimenti. C’è solo da sperare che, frattanto, le tensioni con le organizzazioni sindacali, che non escludono il ricorso allo sciopero, non finiscano per produrre un pericoloso effetto boomerang di paralisi del sistema.