Che conseguenze avrà la vittoria di Matteo Renzi alle elezioni europee sul tema del lavoro? Come si evolverà il rapporto tra le parti sociali e un governo legittimato da una maggioranza “storica”? Il cantiere del Jobs Act potrà finalmente chiudersi positivamente e senza i compromessi al ribasso della prima parte del provvedimento? Alcuni commenti a caldo hanno già mostrato come parte dei voti ricevuti da Renzi sia giunta per la prima volta da categorie solitamente lontane dalla sinistra italiana. A distanza di qualche settimana possiamo riflettere meglio sugli esiti di questa tornata elettorale.



Il fatto che lavoratori autonomi e commercianti abbiano scelto il Partito democratico indica chiaramente come l’Italia sia ormai entrata in uno scenario politico post-ideologico. Se letto dal punto di vista delle relazioni tra governo e parti sociali, questo dato offre diversi spunti di riflessione. Tutti ricordiamo le parole dure usate da Renzi nei confronti tanto del sindacato quanto di Confindustria. Il binomio parti sociali-conservazione è una costante nei discorsi del premier ed è diventato spesso un criterio di azione per l’attività dell’esecutivo. Pensiamo all’iter che ha portato all’approvazione del decreto Poletti con una svolta radicale sulla flessibilità in entrata nel mercato del lavoro. “Se il sindacato non è d’accordo ce ne faremo una ragione”, ha subito detto il Presidente del Consiglio.



I risultati delle urne sembrano aver premiato questa posizione. Infatti, in un mondo del lavoro in trasformazione, il modello conflittuale di relazioni industriali su cui si fonda la maggior parte dell’azione sindacale è sempre più lontano dai lavoratori. Non è paradossale quindi per un Premier che attacca sindacato e Confindustria essere sostenuto con milioni di voti di imprenditori e lavoratori.

I numeri sono dalla parte di Renzi e consentirebbero ora all’azione di governo di dirigersi verso un mercato del lavoro moderno. Il recente decreto Poletti mostra, al contrario, come si cerchi ancora di costruire il futuro del lavoro con lo sguardo rivolto al passato, a quel modello di lavoro subordinato che è stato superato dalla fine della centralità della fabbrica fordista. Per non parlare dei numerosi difetti tecnici del decreto che, almeno da questo punto di vista, non ha beneficiato del mancato coinvolgimento delle parti sociali e di chi dunque dovrà poi applicare le novità delle riforme.



Riducendo il sindacato alla vecchia concertazione Renzi rischia però di trovarsi in un vicolo cieco. L’utopia di governare senza la collaborazione delle parti sociali porta alla lunga ad avere una visione limitata della reale situazione del mondo del lavoro italiano, che nessuna statistica oggi è in grado di leggere. È il momento di un cambio di passo e se il lungo silenzio dei sindacati e di Confindustria dopo il risultato elettorale è sintomo della consapevolezza di una perdita del loro potere politico e di veto, può essere allo stesso tempo una salutare pausa di riflessione. È necessario, anche per la loro sopravvivenza, iniziare a superare ideologie e paradigmi del passato. La pubblicazione da parte di Confindustria di un documento con diverse proposte (sebbene già avanzate in passato) relative al mercato del lavoro può essere letto come un primo segnale di collaborazione.

Il concetto di sussidiarietà ha molto da insegnare tanto alle relazioni industriali quanto a quelle tra governo e parti sociali. Per far questo occorre guardare al bene comune quale punto di equilibrio tra gli interessi del lavoratore e quelli dell’imprenditore, in una logica di partecipazione che è ormai la nuova frontiera delle relazioni industriali. Si pensi al ruolo che possono avere gli enti bilaterali, se ben utilizzati, ma anche la tradizione del sistema cooperativo genuino, da cui proviene lo stesso ministro del Lavoro, che bene indica la possibile coesistenza tra impresa e partecipazione.

Difficile che un governo, soprattutto in tempi in cui l’antipolitica è ben presente sullo scenario europeo, abbia ancora un consenso così ampio. La vera sfida da cogliere è quella di elaborare una nuova idea del lavoro, che lasci alle spalle gli schemi del passato. È una missione tanto semplice quanto apparentemente impossibile. Difficile perché significa avere il coraggio di progettare un modello nuovo, semplice perché si tratta solo di seguire la Grande trasformazione in corso, interpretandola, senza pregiudizi.

È quello che chiedono oggi lavoratori e imprese a cui le promesse e i tanti annunci della politica non bastano davvero più. È qui che Renzi gioca ora la sua sfida che pare appena iniziata.

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