Cooperazione sociale, associazionismo non profit, volontariato, fondazioni, imprese sociali… “Lo chiamano Terzo settore, ma in realtà è il primo”. L’enfasi data dal Governo alla consultazione online delle Linee guida per una riforma del Terzo settore, è tutta contenuta in questa frase. Ad una settimana dalla pubblicazione del documento il dibattito prosegue. E serve soprattutto a capire un mondo di cui si parla ancora troppo poco nel nostro Paese, ma che garantisce 400.000 posti di lavoro, con decine di miliardi di fatturato e investimenti per 9 miliardi di euro, come spiega a il sussidiario.net il prof. Carlo Borzaga, uno dei principali esperti in campo, professore di Politica Economica all’Università di Trento e Presidente dell’Istituto di Studi di Sviluppo Aziendale Nonprofit (ISSAN).
Sono state da poco pubblicate le Linee guida per la Riforma del Terzo settore che il Governo sottopone a consultazione online. Cosa ne pensa di quanto proposto nel documento?
Credo che il documento sia importante come fatto in sé. Finalmente un Governo si è reso conto della rilevanza che il Terzo settore riveste per il Paese, sia per i servizi che produce, che sono servizi sociali, per lo più a tutela delle fasce deboli, sia per la sua capacità occupazionale, che riguarda sia lavoratori normodotati che svantaggiati (sono 30.000 i lavoratori svantaggiati assunti nelle cooperative sociali di tipo B). Finalmente un Governo che non si limita a fare accenni generici al valore del volontariato, ma riconosce quella parte buona dell’Italia che vede impegnate milioni di persone, ma di cui non si parla mai. E’ un bel passo avanti.
Cosa ne pensa di quanto viene proposto nel documento?
Alcuni punti sono ben definiti, altri sono più generici e forse trascurano alcuni aspetti importanti. Il punto decisivo ritengo sia quello relativo all’impresa sociale, che riprende i contenuti del disegno di legge depositato dagli onorevoli Lepri e Bobba. La parte intitolata “Far decollare l’impresa sociale” esprime le esigenze portate alla luce in questi anni dal mondo del Terzo settore e, a mio avviso, è ciò che serve per facilitare l’utilizzo di questo strumento. Portare avanti la legge sull’impresa sociale, inoltre, fa decadere l’esigenza – o la rende meno urgente – di riformare il Codice civile dove viene definito cos’è un’impresa.
In che senso?
Nel momento in cui la legge sull’impresa sociale ammette che le fondazioni e le associazioni di volontariato possano fare impresa modifica già, di fatto, il Codice civile. Non è vero che per riformare il Codice civile serva una legge speciale. Può benissimo essere modificato con una legge ordinaria come quella sull’impresa sociale.
Su cosa invece il testo sulla Linee guida la convince di meno?
Ad esempio sul punto relativo al volontariato che ha alle spalle una legge ambigua dove si parla di “prevalenza” di volontari. Ma cosa vuol dire? E’ una prevalenza di uomini o di ore? Una legge inoltre che non chiarisce se il volontariato possa o meno essere impegnato in prestazioni di servizi continuative su finanziamento pubblico o non debba piuttosto limitarsi a attività solo sperimentali. La nuova legge dovrebbe essere l’occasione per chiarire anche questo aspetti.
Cosa ne pensa dello strumento della consultazione online?
Credo che sia il riconoscimento del fatto che all’interno del Terzo settore esista già una riflessione che va avanti da molto tempo ed è quindi in grado di offrire idee utili a favorire il suo sviluppo. Inoltre, non avendo in questo momento il Terzo settore una rappresentanza largamente riconosciuta, credo che la consultazione online sia la soluzione migliore.
Quali devono essere secondo lei le vere priorità di una riforma del Terzo settore?
Come ho già detto, il punto prioritario riguarda la riforma della legge sull’impresa sociale, in modo che sia favorito il passaggio alla forma imprenditoriale di associazioni di volontariato e non e di fondazioni che sono di fatto e a tutti gli effetti vere e proprie imprese.
Oltre all’impresa sociale?
La seconda priorità è il servizio civile nazionale (citato anche nel documento del Governo), con l’obiettivo di favorire l’inserimento lavorativo dei giovani. Oltre a dare un contributo al grave problema dell’occupazione giovanile in un settore che potrebbe assorbirli anche in prospettiva, è una iniziativa importante per sostenere l’attività di servizi di interesse generale. Inoltre, aspetto non secondario, il servizio civile consentirebbe alle realtà di Terzo settore di sviluppare progetti che per problemi economici, altrimenti non potrebbero essere portati avanti. Poi non bisogna dimenticare un altro elemento decisivo.
Quale?
La terza priorità riguarda l’urgenza di recepire il prima possibile le nuove normative europee che, a seguito di una modifica della legge sugli appalti, prevedono la possibilità per le cooperative sociali che assorbono almeno il 30% dei lavoratori svantaggiati di sottoscrivere contratti con la pubblica amministrazione senza passare per la gara. Il mio timore è che il nostro Paese lasci passare troppo tempo per far propria una direttiva che può davvero aiutare il mondo del sociale.
Ritiene che davvero il Terzo settore abbia la potenzialità di contribuire a determinare il cambiamento “economico, sociale, culturale, istituzionale di cui il Paese ha bisogno”, anziché drenare risorse al sistema già in crisi? Quali risorse produce? E in che modo?
Come ho dimostrato in tanti miei lavori, il Terzo settore ha una valenza sociale ed economica decisiva. Non drena risorse, ma produce beni e servizi a fronte di pagamenti privati o della pubblica amministrazione. In questo senso riesce a rendere il nostro sistema economico e sociale più adeguato ai bisogni delle persone.
Da cosa lo vede?
E’ già in atto un’evoluzione della domanda privata di beni e servizi che si sta rivolgendo sempre più alle realtà sociali. Cosa che, in un momento in cui le risorse pubbliche stanno diminuendo, riveste anche un grande valore economico. Le cooperative sociali in Italia, ad esempio, hanno decine di miliardi di fatturato, creano quasi 400.000 posti di lavoro e hanno in essere investimenti per 9 miliardi…
I dati Istat segnalano che le imprese del Terzo settore crescono del 28% dal 2001 e l’occupazione nel non profit è aumentata del 10% negli ultimi 10 anni. Come legge questo dato? Stiamo assistendo all’aumento di occupazione fittizia o reale?
L’occupazione è cresciuta – anche se meno di questo risulta ad una prima lettura dei dati censuari perché sono diverse le organizzazioni censite nel 2011 ma non nel 2001, benché già esistenti e operative già nel 2001 – perché cresce la domanda di servizi offerti dal Terzo settore, quali quelli sociali e culturali. Da quanto ho appena detto è chiaro che si tratta di occupazione reale. E si tratta anche di buona occupazione.
In che senso?
L’occupazione offerta dal Terzo settore è una buona occupazione sia per quanto riguarda i redditi – che per i lavoratori sono in linea con quelli di mercato (un po’ meno per i manager)-, sia per la flessibilità che offre. In un’indagine che ho curato, emerge che il 70% dei lavoratori part-time delle cooperative sociali, hanno richiesto loro il part-time, per poter conciliare altre attività, soprattutto familiari e più in generale che i lavoratori che operano in organizzazioni di Terzo settore sono mediamente soddisfatti del loro lavoro, più di quelli occupati nel pubblico e nel for-profit. Altre indagini più recenti hanno dato risultati molto simili.
Perché la legge sull’Impresa sociale non è mai decollata?
Penso che sia prematuro valutare la legge sull’impresa sociale che è stata completata solo nel 2010: in tre anni non si può valutare l’esito di una legge così innovativa e complessa. La legge aveva due obiettivi: il primo, quello di consentire a organizzazioni non profit, tipo associazioni e fondazioni che gestivano attività d’impresa, di diventare impresa sociale senza diventare cooperativa sociale. Questo non ha funzionato perché la legge impone dei costi, un capitale minimo, sindaci, revisori, il bilancio sociale e toglie i benefici dello stato di Onlus. Quindi è ovvio che non ha interessato questi mondi che così sono rimasti dov’erano. Poi c’è invece un esito positivo.
Quale?
La seconda ragione per cui è stata pensata la legge sull’impresa sociale è per consentire di creare forme imprenditoriali più complesse della cooperativa. La cooperativa, che è un’impresa di persone, non è più adeguata a gestire forme d’impresa complesse. Da questo punto di vista invece la legge sta funzionando.
In che senso?
Stiamo assistendo in questi ultimi anni alla formazione delle prime imprese sociali che presentano strutture proprietarie e di governance complesse, come ad esempio, nel settore degli ambulatori privati di diagnostica e cura, spesso partecipati non da persone come sono le cooperative sociali ma da soggetti diversi come cooperative sociali (in maggioranza), imprese profit e imprese assicurative…
Veniamo al problema del finanziamento: una tassazione che tenga conto della funzione sociale dei soggetti del Terzo settore, deduzioni, detrazioni, voucher…: si va nella direzione giusta o ci sono altre strade?
Il problema che abbiamo in Italia è che i benefici fiscali sono legati alla tipologia organizzativa e non alla rilevanza sociale dei servizi prestati. Qui ci vorrebbe una rivoluzione nella tassazione che dovrebbe agevolare molto di più i soggetti che svolgono attività di rilevanza sociale. Ma questo è un po’ prematuro. Prima è bene lavorare sull’aspetto giuridico, sull’identità dell’impresa sociale e delle altre forme organizzative del Terzo settore, e solo in un secondo momento sulla tassazione.
E per ciò che riguarda i finanziamenti?
Sui finanziamenti sono dell’idea che bisogna spostarli il più possibile sulla domanda, ad esempio con i voucher. Tutto quello che può essere fatto per finanziare la domanda va fatto. Il voucher ha più vantaggi: mette le organizzazioni in concorrenza sulla qualità del servizio. E’ il cittadino che deve scegliere, non la pubblica amministrazione a dover scegliere per lui, a meno che nei casi in cui ci siano asimmetrie informative…
Quindi suggerirebbe in particolare i voucher?
Chiaramente non tutti i settori possono essere voucherizzati. Non può essere risolto tutto con un unico strumento, ma va allargato lo spettro degli strumenti. Ci sono strumenti di sostegno alle organizzazioni di Terzo settore e alle imprese sociali di cui in Italia non si parla mai: ad esempio la possibilità di rimodulare i contributi pensionistici. Non si può caricare il settore dei servizi alla persona degli stessi oneri di cui vengono caricati altri settori produttivi, dove c’è una diversa dinamica della produttività. Quindi il carico previdenziale dovrebbe essere inferiore per questa tipologie di servizi, con un’operazione di solidarietà da parte di altri settori.
Il testo dà enfasi al principio di sussidiarietà (sia verticale che orizzontale). Cosa ne pensa?
Sostengo da tempo che la sussidiarietà serve innanzitutto per garantire al Paese lo sviluppo economico, oltre che sociale. La sussidiarietà può implicare la liberalizzazione di settori che finora sono stati considerati pubblici ma dove l’amministrazione pubblica non fa assolutamente nulla. Come nei beni culturali. Perché il FAI (Fondo ambiente italiano) non dovrebbe potersi occupare di Pompei? Sussidiarietà vuol dire consentire alle persone di inventarsi delle soluzioni ai problemi sociali dal basso, di proporre nuove iniziative in settori in cui ci sono potenzialità. Secondo me la sussidiarietà deve arrivare anche oltre.
Ad esempio?
Ad esempio, ad imporre che laddove un ente pubblico abbia un immobile non utilizzato, in presenza di qualcuno che abbia proposte di utilizzo adeguate, glielo debba (non solo “possa”, perché in Italia questo non basta) dare in gestione. Senza entrare in quest’ottica non giocheremo mai il potenziale di sviluppo che abbiamo.
(Silvia Becciu)