“Piani di uscita flessibile sono sul tavolo ma ci sono prima altre priorità come esodati e coloro che hanno perso il lavoro. Un’eventuale flessibilità non potrà essere gestita che dentro le dinamiche delle scelte di priorità che il governo farà sull’utilizzo delle risorse”. E’ quanto affermato a proposito di una possibile riforma delle pensioni dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, il quale ha aggiunto, riferendosi alla riforma Fornero: “Non avrei proprio nulla da obiettare ad una maggiore flessibilità. Il frutto della legge che oggi sta facendo così tanto discutere e che ha creati molti e gravi problemi sociali, è nato dalla crisi acuta del 2011. Una cosa che tutti dimenticano ora e se non fosse stata per quella emergenza finanziaria, la riforma sarebbe potuta essere molto più graduale”.
Professor Del Conte, quali aspetti della riforma Fornero ritiene che sia più urgente modificare?
Non c’è dubbio che quella del 2011 fu una riforma tanto semplice nella struttura quanto drastica nei suoi effetti, in quanto si alzò improvvisamente l’età pensionabile per tutti. Ciò ha portato a un risparmio considerevole in termini di costo della prestazione previdenziale, e quindi ha consentito la chiusura della procedura d’infrazione. Il principale difetto di quella riforma è stato l’improvviso innalzamento dell’età pensionabile, cui si è aggiunto l’impatto che ha avuto in una situazione di mercato del lavoro in gravissima crisi. Noi con quel tipo di riforma abbiamo bloccato interamente il turnover in un momento in cui la disoccupazione era molto diffusa.
In che modo è possibile intervenire con una riforma delle pensioni?
Tra le linee sulle quali è assolutamente urgente intervenire c’è quella di favorire il pensionamento di quote di lavoratori che sono prossimi all’età fissata dalla Fornero ma che ancora non ci sono arrivati. Così si potranno assumere nuove leve che potranno rifinanziare il sistema.
Dove potranno essere trovate le risorse?
Le proposte sul tavolo sono sostanzialmente tre. La prima è quella del cosiddetto credito previdenziale. Si consente di andare in pensione anticipatamente rispetto alla quota Fornero, ma si chiede al pensionato e all’impresa un contributo in termini di restituzione di questo anticipo, che si tradurrà in un taglio della pensione negli anni in cui questa sarà erogata.
E la seconda ipotesi?
La seconda ipotesi è stata sperimentata per le donne ed è la cosiddetta opzione contributiva. Uno dei guasti del nostro sistema pensionistico è stato quello, durato per decenni, di fondarsi sul sistema retributivo. Quando si va in pensione non si calcola cioè quanto si è effettivamente versato, ma si determina la prestazione previdenziale sulla base della retribuzione degli ultimi anni, che sono tendenzialmente quelli più alti. Oggi siamo passati al sistema contributivo, che però per quanti vanno in pensione oggi è molto costoso. L’opzione donna prevede un anticipo della pensione per le donne a 57 anni ma con un taglio della prestazione previdenziale dal 27 al 40%. Andando in pensione prima ci si troverà così un assegno particolarmente alleggerito.
E’ possibile evitare effetti di questo tipo?
E’ difficile, anche se un’altra ipotesi per evitare un decurtamento così significativo della pensione è quello di prevedere risorse straordinarie. Come vede gli spazi di manovra sono molto limitati, e probabilmente bisognerà trovare un bilanciamento tra tutti questi strumenti.
Come valuta l’estensione a 170mila della platea degli esodati salvaguardati?
In realtà lo stesso governo sa bene che quella a quota 170mila è l’ennesima salvaguardia, cioè il sesto provvedimento che amplia la platea degli esodati salvaguardati. Sarà necessario chiarire una volta per tutti quanti sono questi esodati e chiudere la partita, credo già con la legge di stabilità del 2015. E’ una questione che non si può continuare a trascinare anche per i prossimi esercizi di bilancio degli anni futuri, pena non sapere mai quali saranno le risorse disponibili per una riforma delle pensioni. Finché avremo la spina nel fianco degli esodati che costa tantissimo e che è in grado da sola di fare saltare i conti dell’Inps, è inutile anche solo mettersi a ragionare su una riforma strutturale della previdenza.
Infine che cosa ne pensa della “quota 96” per gli insegnanti?
Come è emerso dalle dichiarazioni del ministro Giannini, siamo lontani da questa soluzione perché mancano le risorse. Anche su questo fronte è necessario trovare una soluzione che riduca l’impatto assolutamente negativo della riforma Fornero sugli insegnanti. Finché però non si trovano le risorse per farlo sarà ben difficile che questa “quota 96” sia effettivamente realizzata. Un altro impegno del governo deve essere quello di reperire le risorse, e quindi forse su questo sarebbe meglio chiarirsi prima le idee su quali sono le risorse finanziarie a disposizione per sistemare i problemi già esistenti, prima di parlare dell’estensione degli 80 euro a pensionati e altre categorie.
(Pietro Vernizzi)