Nell’attuale contesto competitivo e globalizzato, caratterizzato da incertezza e complessità, con un elevato livello di rischio percepito, si avverte una grande difficoltà di scelta e ci si affida così inconsapevolmente a schemi e logiche già acquisite; e ogni qualvolta tali schemi risultano confermati, si crea ulteriore fiducia che consolida quella precedente. L’etimologia del termine fiducia deriva, come la parola fides, dalla radice bheidh, largamente attestata nelle aree italica e greca. Da questa radice deriva anche la parola latina foedus, che vuol dire patto. La fiducia è la misura della disponibilità ad abbandonarsi all’interlocutore ed è correlata con il senso di sicurezza.
Il filosofo John Locke (1632-1704) scrisse nel Saggio sullo stato di natura che la fiducia è “vinculum societatis”, il legame della società. Fidarsi di qualcuno vuol dire credere che lui agisca per il meglio nei nostri confronti, essere convinti che porterà avanti i nostri obiettivi come fossero i suoi. Molte sono le definizioni di fiducia: qualcuno la definisce come l’aspettativa positiva che l’altro non agirà in maniera opportunistica con parole, azioni, decisioni. Essa viene anche definita come la disponibilità a divenire vulnerabili nei confronti delle azioni dell’altro.
Gli elementi che meglio definiscono la fiducia sono in ogni caso rappresentati dalla familiarità e dal rischio. È la familiarità infatti a determinare l’elemento di aspettativa positiva, che si basa sulla conoscenza: la fiducia è influenzata dalla storia di una specifica relazione. Quando tale conoscenza viene a mancare può essere sostituita da altri dati, determinando l’insorgere della fiducia “presunta”, che può essere basata sulle “categorie”, ovvero subordinata all’informazione riguardante l’appartenenza della persona che riceve fiducia a una determinata categoria sociale o professionale; sul “ruolo”, ovvero fondata sulla conoscenza del fatto che un individuo ricopra un ruolo particolare nell’organizzazione, più che sulla specifica conoscenza delle sue capacità, disposizioni, motivazioni e intenzioni; sulle “regole”, nella misura in cui la comprensione, sia esplicita che tacita, delle norme transazionali, delle routine di interazione e delle pratiche di scambio fornisce una base importante per inferire l’affabilità degli altri anche in assenza di una precedente conoscenza.
Il tema del rischio è invece evidente laddove si esplicita la caratteristica della vulnerabilità: non si tratta di un rischio corso “per sé”, ma della disponibilità a correrlo, bilanciata dall’aspettativa di un risultato positivo e vantaggioso.
Provando a sintetizzare le dimensioni chiave della fiducia, la ricerca recente ne ha identificate cinque: “integrità”, fa riferimento all’onestà ed è cruciale quando le persone devono valutare l’affidabilità dell’altro. Senza la percezione della presenza di questa dimensione “morale”, le altre dimensioni perdono di significato; “competenza”, è da ricondursi alle abilità della persona, sia sul fronte delle conoscenze e capacità tecniche, sia su quello delle capacità personali e interpersonali. La competenza è la base indispensabile sulla quale costruisce il rispetto; “consistenza”, è relativa alla prevedibilità del comportamento dell’altro in differenti situazioni ma anche alla sua coerenza nel praticare quanto dichiarato o promesso, piuttosto che nell’esplicitare le ragioni dei cambiamenti di direzione; “lealtà”, è la disponibilità ad agire in maniera non opportunistica, considerando e tutelando gli interessi dell’altro; “apertura”, ha a cha fare con la tendenza a comunicare in maniera trasparente, per una migliore comprensione.
La fiducia è primariamente connessa alla leadership, alla sua natura relazionale e reciproca. Questo significa che, per costruire fiducia, alla leadership è chiesto di agire su differenti fronti: praticare apertura; essere corretti; parlare delle proprie emozioni; dire la verità; dimostrare coerenza; realizzare le promesse; rispettare le confidenze dei collaboratori; dimostrare competenza.