Si è chiuso ieri alla Camera dei Deputati l’esame degli emendamenti al decreto sulla riforma della Pubblica amministrazione, tra cui c’è anche quello sui cosiddetti “quota 96”. La riforma Fornero aveva previsto che potessero andare in pensione i lavoratori che, al 31 dicembre 2012, avessero maturato 60 anni di età e 36 di contributi, o 61 anni di età e 35 di contributi. L’anno lavorativo degli insegnanti e del personale del mondo scolastico si conclude però il 31 agosto, e 4mila persone non avevano potuto andare in pensione nonostante mancassero loro solo otto mesi di contributi. Ne abbiamo parlato con Massimo Di Menna, segretario generale di Uil Scuola.



Che cosa ne pensa della soluzione per i cosiddetti “quota 96” contenuto nella riforma sulla Pubblica amministrazione?

Il problema è stato riproposto in sede parlamentare, dopo che già in altre occasioni si era tentata una soluzione con altri provvedimenti legislativi. C’è ormai da tempo una totale condivisione tra le forze politiche sul fatto che ci sia stato un errore nella legge Fornero. I partiti sono d’accordo sulla necessità di riconsiderare che gli insegnanti possano andare in pensione alla data del primo settembre. Il calcolo dell’anzianità andava dunque fatto al 31 agosto, e non invece al 31 dicembre come con gli altri lavoratori.



Quali sono state le cause di questa “svista” contenuta nella legge Fornero?

Questo errore è stato il frutto di una decisione politica del governo Monti e dei partiti che lo sostenevano, che non vollero assolutamente ascoltare nessuna indicazione, nonostante i sindacati avessero tentato in tutti i modi di spiegare l’anomalia che si andava a creare in questo modo. Abbiamo tentato diverse volte di risolvere questo problema, anche se finora, al di là delle intenzioni, il risultato non c’è stato.

Ora finalmente il problema si può dire risolto?

Prima di pensare che la questione sia stata risolta, e che queste persone possano andare in pensione, occorre attendere che il provvedimento legislativo del decreto legge sulla Pubblica amministrazione sia approvato in modo definitivo. Ci attenderà poi una corsa contro il tempo, perché sarà necessario attivare una procedura sia per consentire agli interessati di presentare domanda, sia per permettere l’immediata copertura dei posti che rimangono vacanti con nuove immissioni in ruolo.



Ritiene che sia stata un errore la scelta di Renzi di inserire l’emendamento sulla quota 96 nel decreto sulla Pubblica amministrazione?

La questione sullo strumento da utilizzare non è di particolare rilevanza. Il punto era e rimane quello della piena copertura da parte del ministero dell’Economia in quanto tale, al di là dei singoli governi, della soluzione che si è prospettata. La ritengo una scelta di governo, poi gli strumenti tra cui scegliere possono essere diversi. A suo tempo il governo Letta aveva presentato un decreto specifico sulla scuola per risolvere il problema, ma poi il ministero dell’Economia lo ha bloccato. Staremo ora a vedere se il governo nella sua interezza sì assumerà la responsabilità di risolvere il problema. Non vedo quindi particolari obiezioni o una particolare propensione per uno strumento piuttosto che un altro, purché l’esecutivo si decida a governare questa situazione e a passare dalla denuncia di un errore politico a una soluzione che solamente i gruppi parlamentari oggi possono dare.

 

Come valuta la scelta di rimandare una soluzione sulla questione della liquidazione degli insegnanti che vanno in pensione?

La ritengo assolutamente non condivisibile, perché ritorniamo a una soluzione che cerca di mettere delle pezze a un problema che è stato creato. Gli insegnanti hanno il diritto a vedersi riconosciuta l’anzianità contributiva a un’altra data, proprio perché non potevano andare in pensione dal 1 gennaio 2013, in quanto tutte le normative pensionistiche e previdenziali precedenti prevedevano una specificità nel calcolo dell’anno scolastico. Non vedo quindi la necessità di un ulteriore rinvio della liquidazione.

 

(Pietro Vernizzi)