L’emendamento che riguarda la riforma delle pensioni dei cosiddetti “quota 96”, insegnanti e Ata, ha avuto il via libera della Camera. Il testo, inserito nel decreto legge sulla Pubblica amministrazione che è stato approvato da Montecitorio, sblocca la posizione dei dipendenti della scuola che hanno raggiunto i 60 anni di età e i 36 di contributi (o 61 e 35 rispettivamente) previsti per andare in pensione, ma che erano costretti a restare nel mondo del lavoro dalla legge Fornero. I loro requisiti scattavano infatti il 31 agosto successivo, e non il 31 dicembre come per gli altri lavoratori. Ne abbiamo parlato con Massimo Di Menna, segretario generale di Uil Scuola.



Come valuta l’ok all’emendamento sui “quota 96”? Bisogna attendere che la riforma della Pubblica amministrazione sia approvata definitivamente dai due rami del Parlamento. Fino ad allora non si potrà dire che la questione dei cosiddetti “quota 96” sia stata risolta. Questa vicenda lascia un po’ di amaro in bocca, perché dimostra che la questione che noi avevamo sollevato fin dall’inizio, parlando di un errore tecnico e di un modo arrogante di affrontare i problemi senza ascoltare le osservazioni di chi conosce il mondo della scuola, era reale. Se ci avessero dato retta prima si sarebbe potuto evitare un danno alle persone e questa lungaggine nella ricerca della soluzione. Ma c’è un secondo aspetto che non mi convince.



Di che cosa si tratta? L’altro aspetto che non condivido nel testo è il rinvio del pagamento delle liquidazioni, perché una volta riconosciuto che il calcolo dell’anzianità per il personale della scuola va fatto al 31 agosto e non al 31 dicembre, dovrebbero esserci tutte le conseguenze. Anche il Trattamento di fine rapporto dovrebbe avvenire secondo le modalità che sono previste per tutti gli altri lavoratori dipendenti. Sarebbe quindi ingiusto prevedere un rinvio di due anni solo per il personale della scuola, soprattutto perché dopo due anni ci sarebbe la stessa modalità prevista dalle rateizzazioni in ragione del reddito. Permane quindi questo vulnus solo per il personale della scuola.



Quanti sono i lavoratori della scuola che potranno andare in pensione grazie all’emendamento?

Questo è un altro aspetto che occorrerà verificare, perché l’emendamento sana la posizione di 4mila insegnanti. Dalle notizie che noi abbiamo, è probabile che questo numero sarà sufficiente a coprire tutte le domande. Però rimane il problema che se le domande fossero 4.100, la legge prevede che possano esserne comunque accolte solo 4mila. Mi sembra una scelta priva di fondamento, perché il principio generale è che se ci sono le anzianità contributive di età previste, non si può stabilire un limite sulla base delle graduatorie. Spero che questa questione non abbia rilevanza dal punto di vista pratico.

Che cosa ne pensa del fatto che ora 4mila giovani potranno essere assunti? Questo è un fatto positivo. Ora bisognerà vedere in che modo il governo affronterà la questione del piano di assunzioni, rispetto a cui registriamo già un forte ritardo. Il decreto con cui il governo Letta aveva reiterato il piano triennale del governo Berlusconi dovrebbe dare copertura con immissione in ruolo a tutti i posti lasciati liberi da persone che sono andate in pensione. Quindi se questi 4mila posti saranno reinseriti nel piano triennale, avremo 4mila nuove immissioni in ruolo oltre a quelle già prevedibili. Siamo alla fine di luglio, le nomine devono essere fatte entro il 31 agosto come prevede il decreto degli uffici scolastici. Se in questi 4mila posti ci fosse una semplice copertura degli incarichi annuali, ciò comporterebbe un semplice allargamento della precarizzazione del rapporto di lavoro. Al posto di un insegnante di ruolo ci andrebbe un precario, e ciò aumenterebbe il numero dei precari sul totale degli insegnanti in servizio.

 

(Pietro Vernizzi)