La proposta di legge sugli esodati ha avuto ieri il via libera dalla Camera dei deputati, a partire dal testo predisposto dalla commissione Lavoro di comune accordo con il governo. Il ddl prevede di allargare le tutele ad altre 32mila persone, elevando la quota dei salvaguardati a 170mila unità. In commissione tutti i partiti, della maggioranza e dell’opposizione, avevano trovato un accordo chiedendo al consiglio dei ministri un impegno affinché il problema fosse risolto in modo definitivo. Ne abbiamo parlato con Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano.
Come valuta questo nuovo disegno di legge sugli esodati?
È ormai dal dicembre 2011 che si trascina la questione che deve essere definita con una valutazione reale ed effettiva di quanti oggi siano ancora gli esodati scoperti. Quello che oggi non è ancora così chiaro è il numero delle posizioni degli esodati che non hanno avuto copertura. È bene che la Camera affronti il problema, ma ancor meglio sarebbe che lo affrontasse in un modo definitivo e che questa vicenda potesse considerarsi archiviata.
Oltre che dal punto di vista sociale, ritiene che si tratti di una questione cruciale anche sul piano dell’immagine dell’Italia?
È così, purtroppo la questione degli esodati non ci fa onore né sul piano interno, né su quello internazionale. Ancora oggi, quando si ricordano le vicende degli esodati, si trasmette un’idea di un’Italia che non sa fare i conti con il suo mercato del lavoro e con i numeri precisi per quanto riguarda le esigenze di copertura finanziaria per gli ammortizzatori sociali. Spero davvero che si vada verso una revisione complessiva degli ammortizzatori sociali e che vicende come quella degli esodati non si debbano più ripetere in futuro.
In questi giorni si sta discutendo anche dell’idea del prestito pensionistico per andare in pensione prima. Lei che cosa ne pensa?
È una proposta interessante, ma con un limite molto preciso nel nostro sistema. In Italia abbiamo pensioni molto basse e quindi se si deve scontare il prestito pensionistico sui futuri trattamenti previdenziali, il rischio è di trovarsi poi con un assegno davvero ridotto all’osso. In Germania chi ha un lavoro e accumula contributi per l’intera vita lavorativa ottiene una pensione che essendo correlata a stipendi ben più alti consente non solo la sopravvivenza ma anche qualcosa di più. Se anche in Italia avessimo lo stesso sistema, potremmo anche noi fare un calcolo per cui si erode una quota di margine ma si va in pensione prima.
Lei prima ha parlato di revisione degli ammortizzatori sociali. Intanto però sembra che manchi oltre un miliardo ai fondi per la cassa integrazione. Quali possono essere le conseguenze?
Ancora una volta stiamo scontando un residuo del passato, e cioè in particolare della cassa in deroga. Quest’ultimo è uno strumento che certamente ha aiutato moltissimo nella fase più acuta della crisi, ma non ha una sua copertura finanziaria. In sostanza grava sulla fiscalità generale, dalla quale è necessario attingere un miliardo.
Si tratta di una somma che può essere raccolta facilmente?
Non è poca cosa, perché se consideriamo i limiti delle nostre finanze sappiamo benissimo che è difficile raccogliere questa cifra. Ciò a maggior ragione dopo che è stato raschiato il fondo del barile per le risorse degli 80 euro in busta paga. Mi auguro che le risorse si trovino perché ancora oggi la crisi morde e quindi è indispensabile coprire la cassa in deroga.
Quale può essere la soluzione?
Se noi avessimo davvero un sistema a regime che chiarisca quali sono le imprese che devono pagare i contributi per la cassa e quindi estenda la retribuzione anche alle imprese che in precedenza ne erano escluse, e che quindi agivano in deroga, non ci ritroveremmo con questo problema.
(Pietro Vernizzi)