Cala il dato complessivo sulla disoccupazione in Italia, ma aumenta quello relativo ai giovani tra 15 e 24 anni. È quanto emerge dall’ultima rilevazione Istat sul lavoro relativa a giugno, secondo cui la disoccupazione scende al 12,3% dal 12,6% di maggio, mentre il dato giovanile tocca il 43,7%, lo 0,6% in più rispetto al mese precedente e il 4,3% in più rispetto al giugno 2013. Significativo il commento dei tecnici dell’Istat, secondo cui “l’emorragia di occupazione si è fermata”. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei deputati e ministro del Lavoro tra il 2006 e il 2008.
La disoccupazione che cala al 12,3% è una svolta o è solo una parentesi in una generale tendenza al declino?
È troppo presto per dire che siamo di fronte a un cambiamento. È positivo che il tasso di disoccupazione diminuisca di qualche decimale, ma parlare di una svolta è eccessivo. Il 2014 sarà un anno tra i più difficili dei sette di crisi che abbiamo alle spalle. Dall’Eni ad Alitalia, dall’acciaio speciale di Terni ad altre situazioni, ci dicono che ci troveremo presto di fronte a un’altra slavina di disoccupazione. La chiusura delle piccole imprese è del resto all’ordine del giorno. È difficile immaginare un miglioramento dell’occupazione se non c’è un miglioramento del Pil. Ci troviamo in una fase di stagnazione, e per il momento non sono ottimista pur non essendo un disfattista.
A proposito di Pil, Renzi ha detto: “Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone”. Lei è d’accordo?
La ritengo un’affermazione sbagliata, che la crescita del Pil sia dello 0,4% o dell’1,5% cambia eccome. È poi vero che c’è una soglia del 2% al di sopra della quale si producono effetti più marcati, ma la stagnazione pesa sulle famiglie e sul cibo che si mette a tavola, mentre la crescita tanto più è robusta quanto più va a vantaggio delle persone. Significa infatti consumi, benessere, possibilità di rinnovare un contratto e di conseguenza di pagare una bolletta.
Nel frattempo la disoccupazione giovanile ha toccato un nuovo record. Quale può essere la soluzione a questi problemi?
Più occupazione dipende da più sviluppo, cioè da maggiori investimenti. L’Europa del resto comincia ad abbandonare il dogma dell’austerità a senso unico. Ciò che occorre sono grandi opere a livello europeo, infrastrutture materiali e immateriali. Una maggiore produzione significa più consumi interni e più esportazione. Valuto quindi positivamente gli 80 euro al ceto medio del lavoro dipendente, anzi ritengo che vada esteso ai pensionati e alle partite Iva. Se si mette in movimento la macchina dell’economia, con una manovra anticiclica nel momento della depressione economica, forse si apre uno spazio per i giovani.
La Garanzia Giovani può offrire le risorse necessarie?
Ritengo che la Garanzia Giovani vada utilizzata bene. Si tratta di risorse da un miliardo e mezzo, facciamo in modo che non si trasformino in incentivi per chi fa un colloquio, ma vada a quei Centri per l’impiego e le agenzie interinali che offrono un posto di lavoro, magari anche a termine, ma che sia tangibile. Oppure a quell’imprenditore che assume stabilmente una persona giovane, e allora gli diamo un incentivo in più per aiutarlo su quella strada. Va inoltre applicato quanto abbiamo fatto di recente con il ministro Carrozza, a partire dall’alternanza scuola-lavoro.
Pensa che cambierebbe qualcosa con l’abolizione dell’articolo 18?
La ritengo una battaglia di retroguardia, la vera questione è un’altra. I contratti a tempo indeterminato vanno resi economicamente convenienti, riducendo il costo del lavoro. Occorre cioè continuare sulla strada della diminuzione dell’Irap, in quanto il costo del lavoro stabile deve essere inferiore a qualsiasi altra forma di occupazione, escluso ovviamente il lavoro nero.
Che cosa ne pensa del contratto a tutele crescenti inserito nel Jobs Act?
Noi come gruppo del Pd abbiamo già depositato nella scorsa legislatura una proposta di legge, la cui prima firmataria è il ministro Marianna Madia, che comprende un contratto a tutele crescenti. Valuto questa proposta in modo positivo. Il contratto prevede un periodo di prova anche lungo, fino a tre anni, terminato il quale l’imprenditore fa una scelta: o lascia a casa la persona perché non idonea alla comunità aziendale, oppure la conferma. Nel momento in cui la conferma quella persona è a tempo indeterminato. Ciò significa che va bene per la comunità perché è stata verificata la sua attitudine per un periodo di tre anni.
(Pietro Vernizzi)