La conferma che i dati economici hanno dato di un Paese in fase recessiva non poteva che riaccendere il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro, visto che giustizia e Jobs Act sono i temi di riforma annunciati per la ripresa dei lavori parlamentari in autunno. Condivido l’opinione espressa da Giuliano Cazzola su queste pagine: alla nostra economia, e al prestigio europeo del Paese, avrebbe dato una scossa anticipare l’approvazione del Jobs Act rispetto alle riforme costituzionali. Ma ciò non è avvenuto perché i punti cardine della delega non hanno ancora acquisito quella chiarezza, con conseguenti divisioni fra maggioranza e opposizione, nemmeno nei partiti che sostengono il governo. Da qui la ripresa di dibattito su questioni di schieramenti come l’articolo 18 che non chiariscono come ci si vuole muovere complessivamente.



Il nostro mercato del lavoro è caratterizzato da molti dualismi. Alcuni sono caratteristici della nostra economia, come la forte differenza tra tasso di occupazione tra nord e sud del Paese. Tale differenza si ampia ancora di più per le fasce più deboli della forza lavoro come giovani e donne. Altre però sono specifiche e date da una legislazione del lavoro che richiede una revisione e una semplificazione complessiva. I due temi che ci tengono lontano dai sistemi regolativi del mercato del lavoro degli altri paesi europei si concentrano nel sistema dei servizi al lavoro (e relativi sostegni al reddito) e nella disciplina dei licenziamenti, che è ancora fortemente caratterizzata dal reintegro nel posto di lavoro rispetto a indennità economiche certe in caso di licenziamento ingiustificato se non discriminatorio.



Il risultato è che il mercato del lavoro italiano rispetto ad altri è caratterizzato da un forte dualismo fra chi è inserito e chi è escluso. Abbiniamo alla minor probabilità di essere espulso dal lavoro di chi un lavoro ce l’ha già la più bassa probabilità di riuscire a entrare nel mercato di chi ne è escluso. Risultato: il mercato del lavoro più immobile fra quelli delle principali economie europee e mondiali. Tale situazione è pagata dall’eccesso di giovani che non trovano lavoro, ma è anche alla base della decisione di grandi gruppi industriali di aprire nuovi stabilimenti in paesi diversi dal nostro.



Alla base di un mercato ingessato e un sistema di servizi inefficienti c’è un dato culturale e politico di chi ancora ritiene che il diritto al lavoro costituzionalmente sancito significhi diritto al posto e quindi tutela del lavoro che c’è, ma non tutela per garantire a tutti una mobilità che assicuri una vita di lavori. Sulla confusione tra posto e lavoro passa il grave ritardo che una parte della sinistra fa pesare nell’interpretazione dei nodi da chiarire rispetto al testo del Jobs Act. Non stanno insieme una concezione di servizi al lavoro che assicuri a tutti le tutele necessarie alla mobilità, dando così costanza al diritto al lavoro, e un’altra che ritiene ancora che “il posto di lavoro non si tocca” sia l’unica linea di difesa dei diritti dei lavoratori.

L’articolo 18 è già stato toccato, è superato nei fatti da tanti esempi di contrattazione aziendale e territoriale in atto. È una bandiera solo per chi non vuole prendere atto della realtà cambiata e che a nuove norme del lavoro deve corrispondere un nuovo Statuto dei lavoratori per dare tutele e diritti ai lavoratori d’oggi e non al mondo del passato.

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