Tre punti per riformare il sistema delle pensioni. È quanto ha discusso il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un’intervista al Corriere della Sera. Al primo posto c’è un contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro per risolvere il problema degli esodati. Quindi il prestito pensionistico, in base a cui al lavoratore al quale manchino due o tre anni per andare in pensione riceverebbe un anticipo da 600-700 euro che poi restituirebbe a piccole rate una volta ritiratosi dal mondo del lavoro. Infine, la flessibilità sull’età pensionabile in cambio di una penalizzazione sull’ammontare dell’assegno erogato dall’Inps. Ne abbiamo parlato con Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano.
Il ministro Poletti è tornato a parlare di un prelievo sulle pensioni d’oro. Quale intervento va attuato per non incorrere in un’altra bocciatura della Consulta?
In primo luogo va chiarito che cosa si intenda per “pensioni d’oro”, perché è chiaro che il problema dipende fondamentalmente da dove si mette l’asticella. Se la si mette troppo in alto, non c’è nessuna possibilità di trovare le risorse finanziarie. Al contrario non si può certo definire “d’oro” una pensione pari a 2.700 euro lordi. La questione è dove stia il punto di equilibrio che il ministro ha intenzione di trovare. Su questo va fatta chiarezza, continuare ad annunciare possibili interventi sulle pensioni elevate cambiando costantemente l’obiettivo e ciò che si intende per “pensioni d’oro”, non fa altro che creare incertezza e rimandare la soluzione del problema.
Una volta definito che cosa si intende per “pensioni d’oro”, è giusto destinare i proventi solo agli esodati o ritiene che vadano utilizzati anche per le pensioni minime?
Sotto questo profilo esiste anche una questione di costituzionalità. Gli esodati sono un problema, ma se io vado a fare una manovra che tocca non soltanto una quota minima ma una porzione consistente di pensionati, diventa molto più difficile da sostenere che questo contributo sia destinato soltanto a un’esclusiva categoria come quella degli esodati. A questo punto si deve pensare a una politica redistributiva, che non può però essere indirizzata a un’unica categoria. È giusto quindi che a beneficiare del contributo siano le pensioni minime.
Il ministro Poletti ha aperto all’ipotesi del prestito pensionistico. La ritiene una buona soluzione?
Il problema del prestito pensionistico è la ristrettezza delle risorse entro cui potrebbe essere attuato. Se noi parliamo di un prestito di 600/700 euro, ci si rende subito conto che siamo poco al di sopra della pensione minima e quindi è difficile immaginare che ci siano molti volontari disponibili ad andare in pensione con questo tipo di somma. D’altra parte non possiamo neanche alzarla troppo, perché la conseguenza sarebbe che la restituzione che poi dovrebbe essere fatta una volta maturati i requisiti diventerebbe troppo onerosa. Nel nostro sistema, che eroga pensioni mediamente piuttosto basse, è quindi difficile andare a ritagliare dei margini per un prestito pensionistico.
Infine, la questione della flessibilità per quanto riguarda l’età pensionabile. Lei che cosa ne pensa?
Il problema della flessibilità riguarda sempre le risorse disponibili, e poi bisognerebbe vedere il tipo di penalizzazione, cioè quale effettivamente potrebbe essere la sua entità. Se la penalizzazione è troppo elevata la flessibilità non serve perché nessuno la utilizzerà. Quindi o ci sono risorse aggiuntive, e quindi questa può essere una soluzione interessante, oppure se si gioca esclusivamente a bilancio invariato non ci saranno volontari per utilizzare questi strumenti di flessibilità.
(Pietro Vernizzi)