C’è spazio, nell’ambito dei tagli alle spese che si dovranno compiere, per risparmi di solidarietà imposti? Mi pare questo il quesito che sta alla base della possibilità, avanzata (e poi ritirata) in questi giorni, di un taglio alle pensioni più alte per spostare risorse verso un nuovo sistema di ammortizzatori sociali. Contro questa impostazione pesano sia le obiezioni di principio tipo “non si possono toccare i diritti acquisiti”, sia la sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato provvedimenti analoghi fatti dai governi Berlusconi e Monti.



Avendo alle spalle una sentenza, immagino, da ignorante delle questioni prettamente giuridiche, che si possa da quella individuare la strada per attuare il provvedimento nel rispetto delle regole giuridiche esistenti o attraverso strumenti legislativi che lo legittimino. Restano però le questioni di fondo. Tutte le decisioni degli ultimi anni stanno fra la Scilla e Cariddi del senza oneri per lo Stato e senza toccare i diritti acquisiti. È difficile così mettere mano al sistema di previdenza e assistenza che sostengono il contratto sociale che regge il mercato del lavoro e lo sorregge dalle fasi di crisi. Perché questa è la decisione che bisogna schiodare assieme alle nuove norme sui contratti di lavoro e che può dare sostanza al Jobs Act non riducendolo solo a un manifesto di grida manzoniane.



In discussione vi è certamente tutta la parte relativa al contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti nel tempo e la struttura di un nuovo Statuto dei lavoratori. È una parte essenziale per adeguare le regole a un mercato del lavoro che è cambiato in questi anni e che apre una sfida rivolta alle organizzazioni sindacali e aziendali per una svolta nella contrattazione che punti su occupazione e produttività. Questa parte essenziale del Jobs Act sarebbe però sterile se non supportata da una riforma dei servizi per il lavoro che renda efficiente il nostro mercato introducendo quella flexsicurity indicata dall’Europa come il modello efficiente di servizi di supporto a un mercato del lavoro funzionale.



Nel sistema dei servizi registriamo due anomalie. Da un lato servizi pubblici al lavoro che per adeguarsi ai parametri europei dovrebbero quasi decuplicarsi sia in termini di sedi che di occupati. In secondo luogo, non abbiamo un sistema di ammortizzatori sociali che copre universalmente la popolazione. È evidente che tentare di ottenere in un unico provvedimento l’adeguamento al sistema europeo non ci è consentito dalle risorse che sarebbero necessarie.

Per quanto attiene il sistema dei servizi al lavoro si può operare allargando la possibilità di fornire servizi pubblici anche alle Agenzie per il lavoro che vorranno accreditarsi. Il sistema di regolazione lombardo ha già sperimentato negli ultimi anni questo modello con risultati eccellenti. La stessa Garanzia Giovani lo indica come proposta per ottenere da subito una rete estesa di sportelli di servizi. Solo i pasticci introdotti dalle singole regioni frenano una vera sperimentazione di collaborazione generalizzata fra pubblico e privato. A sostegno della efficienza, efficacia ed economicità di tale modello servono regole per l’accreditamento, un sistema di costi standard che permetta i rimborsi per una quota di servizi universalmente riconosciuti e un compenso significativo solo a risultato raggiunto.

Fatto ciò resta però la questione principale che richiede una revisione profonda delle risorse in campo. Oggi gli ammortizzatori sociali sono finanziati solo da una parte delle imprese. A queste risorse, per estenderne l’efficacia, si è aggiunta una quota di risorse prese dalla fiscalità generale e una quota dal Fondo sociale europeo. Anche così si è arrivati a coprire solo una parte, per quanto significativa, di lavoratori in difficoltà ma non la totalità. Ricordiamo i numeri europei. Siamo il 7% della popolazione mondiale, produciamo il 25% del Pil e consumiamo il 50% della spesa di welfare. Il sostegno al reddito per le fasi di difficoltà (salute, anzianità e lavoro) è la base di questo nostro sistema e in Italia chiede di essere rivisto per essere esteso e reso sostenibile senza nuove tasse. Da qui la necessità di usare tutti gli strumenti: recupero di evasioni, risparmi su spese sociali inutili, tagli ai costi dei servizi, ecc.

Oggi, però, nelle famiglie la pensione del nonno paga i libri di scuola del nipote. Si può quindi pensare che per fare decollare un nuovo modello si possa anche ricorrere a contributi di solidarietà di chi costa troppo rispetto al sistema? Certo, deve essere chiaro che parte un nuovo modello per tutti e si deve poter verificare che i fondi vadano ai nipoti e non a mantenere burocrazie inefficienti.