“Bisogna introdurre la flessibilità in uscita che manca. La Fornero ha previsto che chi vuole restare al lavoro dopo i 66 anni, e fino a 70, veda rivalutata la sua pensione. Nella stessa logica, ma con un meccanismo rovesciato, si può prevedere che chi abbandona prima dei 66 anni, questo limite non va assolutamente toccato, si ritrovi con un assegno minore”. Lo ha detto il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, intervenendo a proposito del dibattito sulla riforma delle pensioni. Ne abbiamo parlato con Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale e membro della commissione Lavoro della Camera.
È d’accordo con la proposta di una maggiore flessibilità pensionistica?
Ritengo sicuramente un tema interessante quello della flessibilità pensionistica e quindi di una maggiore possibilità degli italiani di gestire risorse che comunque sono loro in un momento di difficoltà. Il problema è però che questo governo dice tantissime cose, ma non arriva nulla nero su bianco. Bisognerà quindi vedere di che cosa parliamo, anche se trovo importante il principio della flessibilità pensionistica in quanto tale. Dobbiamo fare i conti con il fatto che ci troviamo di fronte a una situazione economica molto complessa e difficile per tanti italiani. Tutto ciò che possiamo fare per dare loro una mano, pur senza aumentare la spesa pubblica, è qualcosa cui bisogna guardare in modo positivo.
La questione degli esodati è ancora lontana dall’essere risolta. Secondo lei, come bisogna fare?
Bisognava dare seguito al lavoro portato avanti in modo trasversale dalla commissione Lavoro della Camera. I deputati del Pd sono stati umiliati dal loro stesso governo, dopo avere lavorato un anno per salvaguardare l’intera categoria degli esodati. Ritengo ingiusto che su due persone che si trovano nella stessa identica situazione una sia salvaguardata e l’altra no. La commissione aveva individuato una soluzione che poteva valere per tanti e anche se aveva un costo, non si può fare cassa sulla vita delle persone. A quel punto il governo è intervenuto con l’ennesimo emendamento al testo e ha adottato l’ennesima clausola di salvaguardia. È esattamente quello che avevano fatto i governi precedenti, dimostrando ancora una volta che Renzi non è poi così diverso dai suoi predecessori.
Posto che sugli esodati occorre trovare una soluzione, è utile rimettere mano alla riforma delle pensioni a soli tre anni dalla legge Fornero?
Dipende da come ci si mette mano, ma ci sono delle cose che ancora si devono fare. La vicenda degli esodati, le storture ereditate dal sistema retributivo, alcuni limiti del sistema contributivo che pure andrebbero corretti. Anche se sono del tutto contraria a tornare indietro rispetto alla riforma Fornero, cioè a riportare l’Italia a un sistema in cui la gente va in pensione a 58 anni, in un’Italia nella quale i nostri figli andranno in pensione se va bene a 70 anni. Comprendo la difficoltà di chi si aspettava di andare in pensione e invece dovrà aspettare, ma ci si deve anche paragonare con la generazione successiva.
Lei ritiene che all’origine dei problemi delle pensioni ci sia anche il calo della natalità?
Noi abbiamo lavorato molto sul tema degli incentivi alla natalità, perché mentre le leggi italiane garantiscono il diritto di abortire nel modo più facile e veloce possibile, nessuno si pone il problema di tutelare il diritto di mettere al mondo un bambino. Oggi i figli sono sempre di più dei beni di lusso e anche sul piano professionale la maternità è fatta scontare alle donne che decidono di mettere al mondo un figlio. Anche l’Italia dovrebbe adottare un sistema come quello che vige in altre nazioni, che dimostra la possibilità di invertire i dati demografici. Da ormai qualche decennio la Francia lavora prioritariamente a una legislazione di incentivi alla natalità e di protezione alla maternità. Il risultato è che oggi in Francia abbiamo la più elevata natalità tra i Paesi occidentali, nonché la più alta percentuale di donne occupate.
(Pietro Vernizzi)