Tra giugno e luglio in Italia si sono persi mille posti di lavoro al giorno. È la conseguenza del fatto che la disoccupazione è salita al 12,6%, con una crescita dello 0,3% su base mensile e dello 0,5% su base annua. È quanto emerge dai dati Istat relativi al luglio 2014, secondo cui la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni si attesta al 42,9%, con una flessione dello 0,8% tra luglio 2014 e il mese precedente, ma un aumento del 2,9% rispetto al luglio 2013. Nel secondo trimestre 2014 la disoccupazione al Sud raggiunge il 20,3% mentre a livello nazionale si sono persi 89mila posti di lavoro a tempo pieno di cui 57mila sono a tempo indeterminato. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, docente di Scenari economici all’Università di Parma.
Com’è la situazione del mercato del lavoro che emerge dai dati Istat?
Il mercato del lavoro mostra luci e ombre. Il rallentamento dell’economia e il rientro in recessione certamente non sono un viatico per i dati del mercato del lavoro. In questi mesi registriamo un cambiamento di scenario. Speravamo di avere davanti a noi un inizio di ripresa, e confidavamo nel fatto che il decreto Poletti recentemente convertito in legge avrebbe aiutato la creazione di un numero maggiore di posti di lavoro. Ci troviamo invece di fronte a una realtà differente, che non consiste più in una creazione di nuovi posti grazie a una ripresa di fatturato e attività economica, bensì in a una nuova battuta d’arresto. È questo il quadro in cui dobbiamo provare a interpretare i dati Istat.
Allora come si spiega il miglioramento per quanto riguarda l’occupazione giovanile?
Le oscillazioni mensili sono funzione di numerosi fattori. Cantare vittoria per questo dato sarebbe un’esagerazione, anche perché giocano sempre anche delle correzioni stagionali. Il dato con cui operare il confronto è quello del luglio 2013, rispetto a cui la disoccupazione giovanile è comunque aumentata del 2,9%. La disoccupazione complessiva sembra invece essersi assestata intorno al 12,5%, che equivale a 3 milioni di disoccupati. È un numero che fa tremare i polsi, ma che nello stesso tempo rispecchia la “ripresina” del quarto trimestre 2013.
Quali misure ritiene che debba adottare il governo nell’ambito del Jobs Act?
Il decreto Poletti ha liberalizzato il contratto a tempo determinato. Ora rimane da attuare la seconda parte del Jobs Act, che consiste nel predisporre una forma contrattuale che consenta di ridare fiato alle assunzioni a tempo indeterminato. Queste ultime cinque anni fa erano pari a circa il 20% dei contratti totali, mentre adesso sono scese al 15-16%. Molte aziende non vedono futuro, soprattutto perché il vero problema non sono le regole del lavoro, bensì l’andamento dell’economia. Il fatto però di introdurre il contratto a tutele crescenti aiuterebbe le imprese a scegliere tra questa modalità e le opportunità alternative, che oggi sono i due terzi delle nuove assunzioni. Il contratto a tutele crescenti potrebbe prevedere una sorta di “prova” fino a tre anni, per dare tempo al lavoratore e all’azienda di capire se sia utile che il rapporto di lavoro duri anche oltre questo periodo di tempo o se si debba interrompere prima.
La Garanzia Giovani è partita da maggio. Sta producendo i risultati sperati?
Personalmente non provo un particolare entusiasmo nei confronti di misure che favoriscono una determinata classe d’età, perché il rischio è quello di limitarsi a ridistribuire i posti di lavoro tra fortunati e meno fortunati. Ritengo al contrario necessarie delle riforme che favoriscano l’ingresso al lavoro di tutti, e non di una particolare categoria. Fatta questa premessa, la Garanzia Giovani ha prodotto qualche risultato, prima delle vacanze si era arrivati a 22mila offerte, anche se di queste solo una frazione molto piccola si è trasformata in posti di lavoro effettivi.
(Pietro Vernizzi)